E’ esploso il caso kazako, come ampiamente previsto, cioè quella che è stata definita la “deportazione” dall’Italia di Alma Shabalayeva, moglie del dissidente Ablyazov e della sua bambina, Alua di sei anni. La Procura di Perugia ha indagato per sequestro un giudice di pace e sette poliziotti, fra cui due alti dirigenti. E’ una vicenda che ho seguito da vicino, dedicandole un intero capitolo nel libro “Mafija” ripercorrendo tutte le tappe fin dal gigantesco blitz notturno del 2013 a Casalpalocco, cinquanta agenti che manco contro l’Isis. Ma del pericoloso latitante segnalato da un’agenzia investigativa israeliana, la “Syra”, neppure mezza traccia. E andando oltre.
Scrivo nel libro: “Bisogna cominciare a capire perché. Cioè perché i kazaki hanno potuto fare i padroni in Italia. Partiamo da un dato accertato. L’Eni è uno dei più importanti partner privati del Kazakistan. Le relazioni con la compagnia italiana risalgono al 1992, quando venne firmato il primo accordo di ripartizione della produzione del campo di Karachaganak, nel nord del Paese, di cui dal 1997 l’Agip è operatore e da cui estrae il petrolio con una licenza per quarant’anni. Non è certo un mistero: è scritto addirittura su Wikipedia, l’enciclopedia online. (…) Ma non c’è solo l’energia. Sono addirittura 6508 per l’esattezza i milioni di euro di fatturato delle aziende italiane in Kazakistan. E sono cifre vecchie poiché fanno riferimento alle fonti Ice del 2011. Sicuramente l’Italia è tra i dieci Paesi che negli ultimi vent’anni hanno mosso più capitali verso Astana, secondo quanto riporta il sito Invest, l’agenzia governativa kazaka per gli investimenti. (…) L’Eni non è l’unica azienda presente, anche se ha un ruolo prioritario. Ci sono anche Finmeccanica, Italcementi e numerosissime aziende di stazza medio-grande, per non parlare della banca Unicredit presente fino a poco tempo fa. Fin qui, naturalmente tutto regolare. Affari”. Ma poi ci sono i rapporti stretti di Berlusconi e le visite troppo frequenti di Prodi con Nazarbayev, un uomo che ha ricevuto il 92 per cento di consensi elettorali e che da 24 anni guida ininterrottamente il Paese ex sovietico. Cifre sicuramente da regime. Non a caso, ‘Reporter senza frontiere’ mette il Kazakistan al 160esimo posto nella classifica della libertà di stampa su 179. E con documenti alla mano. Il regime di Nazarbayev, stando anche ai rapporti di Amnesty International, non rispetta gli standard internazionali di garanzia dei diritti umani, non soltanto la quasi inesistente libertà di stampa. Ma anche arresti illegali, detenzioni non registrate e addirittura la tortura come riportato in un dossier dell’Onu”.
Con buona pace del Viminale che ha cercato subito di smorzare la questione – parlando di montatura – dopo aver “affittato”, a quanto sembra, i suoi uffici a funzionari di un Paese straniero. Che poi quei due alti dirigenti di polizia siano stati promossi appare quasi un dettaglio. Per fortuna ci sono ancora, in Italia, magistrati cocciuti e, se permettete, anche qualche cronista che ancora si ostina a credere nella giustizia.