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Gli attentati di Parigi e l’indigestione dell’informazione

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Sfogliando i quotidiani inondati in questi giorni da un diluvio di cronache, opinioni, dissertazioni e divagazioni sul terrore e sulle sue conseguenze, mi chiedo se l’eccesso di drammatizzazione, sia nei toni e nei titoli  che nel numero delle pagine, non finisca per scoraggiare dalla lettura e accrescere soltanto lo scoramento. Per un’informazione completa, tre o quattro pagine sarebbero più che sufficienti. Anche perché a leggere i commenti sui social network si ha l’impressione che la stragrande maggioranza delle persone, nonostante l’ alluvione di particolari sui media, continui ad essere piuttosto disinformata. Che motivo può avere tutta questa esagerazione?

L’indigestione finisce per procurare la nausea e fino ad oggi è sempre accaduto che, una volta saturata la curiosità dei lettori, quegli stessi avvenimenti vengano  sottovalutati o addirittura dimenticati. Sul perché questo avvenga, un’idea però ce l’avrei. I giornali campano di pubblicità, la pubblicità ha bisogno dell’attenzione, l’attenzione si accompagna alla reazione emotiva. Esaurita quest’ultima, si tornerà all’impaginazione normale. E non importa che, nella maggior parte dei casi, si dia soltanto un’occhiata alle foto, ai titoli e ai sottotitoli (chi ha il tempo di leggere oltre?). Importa che l’emozione richiamata dal titolo o dalla foto scivoli sulle inserzioni pubblicitarie e possibilmente ne conservi la traccia.


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