“Lavorare stanca”- precisava Nando Gazzolo durante un’intervista di tanti anni fa. “Specie in questo nostro mestiere, che mentre ti invade di personaggi, di altrui fantasie, rischia di svuotare la tua vita, la tua sola identità ”. Ed infatti, da uomo saggio e da artista ponderato, l’attore savonese- scomparso ieri a Nepi , due passi da Viterbo, ad 84 anni, figlio d’arte e maestro mai esibito di ‘nuove leve’ di colleghi febbrili d’ambizione- aveva improntato la sua vita professionale alla ‘giusta distanza’ e all’ ‘equa, sobria presenza’ dell’esporsi al pubblico. Pur essendo stato uno dei volti più celebri, corteggiati, osannati della televisione ai suoi esordi e tra i pochissimi a recitare ‘in diretta’, con apparente disinvoltura (“ma la sudarella a litri”) variopinti repertori che andavano da Shakespeare a Goldoni, da Bacchelli a Eliot (meritoria la recente riproposta di Rai5 di alcuni drammi di quest’ultimo, ove Gazzolo primeggia a fianco di interpreti consegnati al mito, da Santuccio alla Pagnani, da Carraro alla Ferrati).
Come si diceva, era da parecchio tempo che Nando Gazzolo aveva scelto la via del ‘buen ritiro’, della non-competizione, dell’ansia da prestazione (croce e delizia dell’attore di prosa, seralmente a rapporto) gettata alle ortiche in cambio di un’esistenza a misura di pensiero e di anagrafe. Anche per quel particolare tipo di tedio e mortificazione che è “far la fila all’ufficio scritture della Rai” (parole sante!). Non è, non è stato il solo: ricordiamo, ed apprezziamo, lo squisito ‘defilarsi’ (anzitempo?) di altri protagonisti della scena del novecento: da Achille Millo a Raoul Grassilli, da Mario Valdemarin a Umberto Ceriani; e alle ‘signore’ dell’assenza pianificata che hanno i nomi di Carla Gravina, Edmonda Aldini, Lydia Alfonsi , Gianna Giachetti, Lucia Catullo (e altre che involontariamente ometto)
Di Nando Gazzolo continueremo a serbare il ricordo, l’affetto, la stima di unico attore italiano (dotato di fascino e fisico ‘british’ spesso paragonato a quello di Michael Caine, di cui fu doppiatore italiano), capace di trasformare l’arte del ‘bel recitare’, con voce profonda, suadente, elegantemente impostata. In quel fascino della seduzione poetica, che in diversi interpreti-pur di valore e d’esperienza- snaturava in effetto da birignao, pedante accademia, scolastica ‘dizione’ risibilmente pronunciata con la ‘o’ chiusa.
Memorabile, per il grande pubblico, i cicli del suo lo Sherlock Holmes targato Rai, subito replicati con la tragedia epocale “ Buddenbrook” (che valse a Gazzolo un premio della Bbc). E comunque preceduti da un portentoso Duca di Vallombrosa in “Capitan Fracassa”, abbinati alla voce narrante della pietra miliare titolata al “Mulino del Po”, al personaggio (molto sfaccettato) di Freddi Hamson in “La Cittadella” (sempre a metà degli anni sessanta), in amichevole ‘antagonismo’ di tonalità viril- baritonali con Alberto Lupo, altro signore (precocemente scomparso) del sorvegliato glamour, dell’autoironia ‘da palcoscenico’ed oltre, che molto lo accomunavano ad Arnoldo Foà, Franco Grazosi ed, appunto, Nando Gazzolo
La carriera di del quale si arricchì, negli anni settanta, di un imprevedibile, contrastato blitz nell’allora monopolistico repertorio di Dario Fo, il cui “Chi ruba un piede è fortunato in amore” vide nell’artista savonese un inopinato ‘masnadiero’ con la voglia di ri-scandire i mostri sacri dell’allora monopolistico teatro-politico. Seguirono due proficue collaborazioni con Sandro Sequi: “Il grande statista” e “Come vi piace”, ed un cesellato “Anfitrione” di Von Kleist per la regia di Walter Pagliaro. Per un’estremità di fertile carriera che andò ad appagarsi nei due pirandelliani “Il gioco delle parti” e Non si sa come”, approntati da Walter Manfrè tra il 1996 e il 1997, le cui repliche impegnarono Gazzolo sino alle soglie del cambio-millennio.
E se la sua presenza su grande schermo non annovera titoli significativi (semmai esilaranti, come “Totò e Cleopatra” del 1963, o di sostegno ad autori esordienti o quasi come “Angeli a sud” di Massimo Scaglione del 1991, “La rentrée” di Franco Angeli del 2000, “Il sottile fascino del peccato” di Franco Salvia del 2010), ci piace invitare il piccolo parterre degli ‘amatori’ a rintracciare le sue nitide letture poetiche (da Dante a Montale, da D’Annunzio a Garcia Lorca, da Ungaretti a Pasolini), disponibili in registrazioni di ottima qualità. E fare attenzione ogni qual volta in televisione ‘passa’ un film con interpreti col blasone di Olivier, Fonda, Brinner, Niven, Beatty. Se la loro voce, il loro timbro e espressività sonora vi appassionano –come è bene che sia- ringraziate un poliedrico doppiatore di nome (ancora lui) Nando Gazzolo.