Il Burundi è sull’orlo di una deriva di violenze che potrebbero degenerare in crimini ancora più atroci. A confermare l’allarme lanciato nei giorni scorsi da International crisis group è il consigliere speciale del segretario generale delle Nazioni Unite per la prevenzione dei genocidi, Adama Dieng, davanti al Consiglio di sicurezza che si è riunito il 10 novembre al Palazzo di vetro per discutere della crisi nel paese africano.
I 15 non hanno ancora assunto alcuna decisione vincolante, ma è stata illustrata una bozza di risoluzione presentata dalla Francia che minaccia “sanzioni mirate” contro i leader del Burundi che sono implicati nelle violenze in corso.
Della gravità della situazione ha parlato anche il sottosegretario generale dell’Onu per gli Affari politici, Jeffrey Feltman, che ha avvertito il Consiglio che il Burundi sta vivendo un “momento critico”, sperimentando una profonda crisi politica e una rapida escalation che potrebbe avere “gravi conseguenze per la stabilirà del paese, per l’armonia inter-etnica e di tutta la regione”.
Dallo scorso aprile, quando il presidente uscente Pierre Nkurunziza ha annunciato di volersi candidare per un terzo mandato presidenziale, in diversi quartieri della capitale abitati da esponenti dell’opposizione, si sono susseguite sparatorie e attentati con granate. Ormai non c’è giorno che i resistenti terrorizzati e traumatizzati non trovino corpi mutilati, vittime di esecuzioni, abbandonati nelle strade.
Secondo l’alto Commissario per i diritti umani Zeid Raad al Hussein, che ha sottolineato la sua preoccupazione durante la riunione a New York, almeno 240 persone sono state uccise dall’inizio delle proteste. Ci sono stati inoltre centinaia di casi di arresti e detenzioni arbitrarie nel solo mese scorso nei confronti di esponenti dell’opposizione, di giornalisti, di attivisti per i diritti umani e civili ritenuti vicini agli oppositori. Il conflitto ha provocato finora più di 280 mila tra sfollati interni e rifugiati in tutta la regione dei Grandi Laghi.
Hussein ha dichiarato con forza che “non è credibile affermare che dietro le violenze ci sia un piccolo gruppo di criminali o traditori”.
Il problema, ormai chiaro ad analisti e funzionari Onu, è molto più profondo e quindi più preoccupante,
Il mese scorso il Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione africana ha approvato l’adozione di un documento che promuoveva un approccio su più fronti per affrontare la situazione, tra cui l’espansione dei suoi osservatori dei diritti umani ed esperti militari e l’avvio di un piano d’emergenza per l’eventuale invio di una missione militare a guida africana nel paese. Le Nazioni unite hanno invece annunciato che il segretario generale nominerà presto un inviato speciale per la crisi in Burundi.
Ovviamente il governo nega ogni responsabilità e attraverso la voce del ministro degli Esteri Alain Nyamitwe ha definito eccessiva l’attenzione rivolta al Burundi da Onu e Stati Uniti. In particolar ha manifestato disappunto per le dichiarazioni rilasciate dall’inviato speciale Usa nella regione dei Grandi Laghi, Thomas Perriello, il quale aveva affermato che gli autori delle violenze nel paese dovranno “affrontare le conseguenze” per le proprie azioni. Secondo Nyamitwe le notizie su quanto stia avvenendo nel paese sono “esagerate” e che il governo ha la situazione “sotto controllo”.
Ma non la pensano così gli alti funzionari del Palazzo di vetro e le diplomazie dei paesi europei, in particolare francese e belga.
E nei confronti di quest’ultima il partito al potere in Burundi, il Cndd-Fdd, ha rivolto un duro attacco accusando il Belgio di aver “armato” l’opposizione con l’intento di “ricolonizzare” il Paese.
Il presidente del partito, Pascal Nyabenda, sostiene che “le lobby del Belgio e i loro referenti nell’Unione europea, lanciano delle dichiarazioni apocalittiche che parlano di genocidio in Burundi con il solo fine di proteggere un nebuloso politicante che il colonizzatore belga finanzia e arma nel piccolo paese, con il solo fine di distruggerlo”.
Sull’attendibilità di quanto afferma il Cndd-Fdd è doverosa una riflessione. Si tratta, infatti, di ex ribelli hutu che hanno combattuto durante la guerra civile, macchiandosi di crimini contro la parte avversa.
La crisi politica scaturita dalla volontà del capo di Stato burundese di correre per un terzo mandato che, secondo i suoi avversari viola la Costituzione e gli accordi di Arusha che decretarono la fine delle ostilità, preoccupa anche per questo.
I profili di un possibile nuovo conflitto che possa trasformarsi in un genocidio, non diverso da quello del Rwanda, sono chiaramente delineati e il rischio che divampi in tutto il paese, specialmente se le più alte autorità statali fanno appello all’odio, è sempre più alto.
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