Sono immagini di guerra quelle che arrivano dal Kurdistan turco a due giorni dalle elezioni in cui ha trionfato l’Akp di Erdoğan. E non si tratta solo dell’operazione che il governo sta facendo contro il Pkk sulle montagne di Kandil, tra Turchia e Iraq.
Stamattina a Silvan, ottanta chilometri da Diyarbakir, roccaforte curda nel sud-est del paese, il governo ha imposto nuovamente il coprifuoco. Quando siamo arrivati il rumore degli spari e delle bombe si sentiva in lontananza. Le forze speciali turche hanno bloccato con mezzi blindati tre quartieri della città, impedendo agli abitanti di uscire.
Osservando dalle vie laterali le uniche immagini erano “nuvole di piombo”. Fino al tramonto non si é sentito altro che colpi di mortaio, raffiche di proiettili e boati di bombe. Muslum Tayar, un ragazzo curdo di 22 anni, è rimasto ucciso negli scontri. I cittadini che tentavano di avvicinarsi sono stati allontanati a colpi di gas lacrimogeni.
Questo significa il coprifuoco a Silvan, 80mila abitanti. Gli spari, ma anche l’impossibilità di uscire per comprare cibo o andare all’ospedale. È iniziato ad agosto, a intermittenza, dopo la dichiarazione di auto-organizzazione da parte della città. “Non vuol dire indipendenza da Ankara – spiega il cosindaco Zuhal Tekiner – ma un confederalismo democratico che consenta l’autonomia degli enti locali rispetto a questioni cruciali come la scuola e le strade”. Ma anche l’autodifesa.
Una posizione mai accettata da Erdoğan che qui, nel sud-est del paese, ha imposto il coprifuoco, durato anche diversi giorni, in molte città come Lice, Cizre, Sur, Varto, Nusaybin, Silopi, Bismil, Beytusebab, Hani, Dargecit. E Silvan naturalmente. Qui i muri ne raccontano tutte le ferite: case rase al suolo dalle bombe, porte e saracinesche crivellate di proiettili. Persone che tragicamente non hanno più nemmeno un sussulto al rumore delle bombe. Silvan é sotto assedio da agosto, poco dopo che le autorità turche iniziassero a bombardare in Turchia e in Iraq le postazioni del Pkk (il partito dei Lavoratori Curdi dichiarato organizzazione terroristica dagli Usa), quando i negoziati sono ufficialmente falliti. Da allora é stata un’escalation di violenza.
Domenica sono andati a votare in questo clima, con le urne chiuse un’ora prima che nel resto del paese, i mezzi blindati fuori dalle scuole, la polizia armata dentro i seggi. L’Hdp, il partito filocurdo, ha resistito, pur perdendo un milione di voti, ma superando comunque, per la seconda volta nella storia, l’altissima soglia del 10% per entrare in Parlamento. E da questa posizione istituzionale ha subito teso la mano ad Erdogan, rilanciando il processo di pace. Ma il partito del capo del governo, blindato in una maggioranza assoluta, non si ê ancora espresso sulla ripresa delle trattative, decidendo invece di continuare a bombardare.
Senza contare il bavaglio alla stampa. Secondo l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione “la diminuzione di scelta tra i media e la restrizione della libertà di stampa ha ostacolato la campagna elettorale con effetti sul voto”. Una situazione che preoccupa anche la Casa Bianca che ieri ha chiesto alla Turchia di rispettare la Costituzione. Ma Erdogan non cambia strategia nei confronti dell’informazione.
Ieri sono stato arrestati il direttore e il caporedattore del settimanale Nokota, responsabili della copertina post-elettorale: “Lunedì 2 novembre: l’inizio della guerra civile turca”.