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Il ritorno del sultano

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Turchia: il trionfo di Erdogan, Repubblica. Dal 7 giugno al primo novembre, il partito islamico del presidente turco, Erdogan ha recuperato 3 milioni e mezzo di voti, due milioni dal partito nazionalista di estrema destra, un milione e mezzo dal partito curdo per la pace e i diritti. Erdogan ha ora 316 seggi, la maggioranza assoluta. Gliene mancano solo 14 per indire un referendum che cambi la Costituzione.

Strategia della tensione. Come ha fatto il sultano a trasformare la sconfitta del 7 giugno nel trionfo del primo novembre? Scrive Franco Venturini: “dopo la sconfitta di giugno, Erdogan aveva silurato la nascita di un governo di coalizione, aveva ripreso la guerra con i curdi del Pkk, aveva violato la libertà d’informazione e altri diritti civili, aveva assistito dall’alto a una serie di sanguinosi attentati culminati nella strage di Ankara del 10 ottobre dove avevano perso la vita centodue oppositori pacifisti”. Agli occhi delle masse islamiche, che vivono la Turchia dell’interno e sono grate a Erdogan per il boom conomico degli anni passati, il voto per il suo partito è apparso un voto per la stabilità, quello alle opposizioni un voto per l’insicurezza. Strategia della tensione concentrata in pochi mesi e,per ora, vincente.

La Merkel ha scommesso su di lui, titola la Stampa “ma ora teme la svolta autoritaria”. La cancelliera tedesca lo aveva incontrato dopo la strage di Ankara, di cui Erdogan porta almeno la responsabilità politica, e gli aveva promesso soldi e un lasciapassare per l’Europa, in cambio del contenimento, in Turchia, del flusso dei profughi siriani. La Nato ha di nuovo bisogno del sultano, ora che la Russia è intervenuta pesantemente in Siria. Ora che -come dice De Mistura a Repubblica- l’Iran si è insediato al tavolo delle trattative. Incrociamo le dita. Dopo la vittoria Erdogan si è subito fatto acclamare nei quartieri dei fratelli musulmani. Quest’uomo può sposare islam oscurantista e nazionalismo turco. Poveri noi. Un secolo fa il genocidio degli Armeni, oggi temono i Curdi. E fra loro, rischierà di prevalere il partito combattente di Ocalan e, dunque, la logica delle armi, anziché l’ottimismo, l’apertura e la speranza pacifista di Demirtas.

Le incertezze dell’occidente. “Accuse dalla Libia, tensione con Roma”, Corriere. La missione militare in Libia, sotto egida ONU e a guida italiana, è ancorà di là da venire ma già siamo sotto tiro. L’alleato libico, il governo di Tobruk riconosciuto in occidente, ha “visto” tre nostre navi militari nelle “sue” acque territoriali e ci ha minacciati, mentre “ignoti” saccheggiavano il cimitero cattolico. Perchè? Semplice, perchè il generale Haftar, l’uomo forte di Tobruk, pensava di aver avuto via libera da Egitto e Stati Uniti per combattere islamisti e tribù. Invece si continua a negoziare col suo “nemico”, il governo di Tripoli, e si prepara una missione nel nome di tutti e a scapito di ognuno. E l’Italia?

Noi di sinistra siamo stati sconfitti, dice Alfredo Reichlin al Fatto. E aggiunge: “Oggi i mercati governano, i tecnici amministrano, i politici vanno in televisione ad assolvere la funzione della gestione mediata e del simbolico”. “Dal carisma al curriculum, dal popolo al fatturato. – Polito sul Corriere- Il commissariamento della politica sembra essere il futuro delle grandi città italiane.Privi di una classe dirigente all’altezza, i partiti cercano manager per Milano e Roma”.

Dimezzare il vitalizio dei politici. Dice il presidente dell’Inps Boeri. Bene, bravo, bis! Se avrete la pazienza di leggere, scoprirete che vuol tosare tutte le pensioni alte, perchè i bonus agli imprenditori hanno messo in mora l’istituto. Quali i confini dell’insieme “pensioni alte”?

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