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Magistratura e politica: sfere di potere, poca autonomia

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In Italia, la netta separazione tra politica e magistratura non viene più considerata tabù.

Da diversi decenni, questi due aspetti dell’istituzione statuale riescono a incontrarsi o separarsi con formule, talora di vicinanza, talora di scontro. E, nonostante la magistratura debba porsi come ordine autonomo e la politica come traiettoria mirante al bene collettivo, entrambe sembrano presentarsi come forze sempre più assoggettate alla difesa di un potere, piuttosto che all’esercizio di una funzione.

E’dalla fine della prima Repubblica che politica e magistratura paiono aver trovato un’intesa. Mani pulite sembrava aver risolto le contraddizioni insite a un sistema di corruzione costruito e diversificato su tutta la penisola, ma l’opera della magistratura si è rivelata insussistente di fronte ad un’immediata riorganizzazione territoriale della politica, al cui richiamo, neppure ex magistrati hanno saputo resistere. La questione ruota intorno alla difesa vicendevole di un terreno di discrezionalità ritagliato ed esteso nel tempo e al contestuale assottigliamento dei motivi più nobili alla base dei loro doveri.

Sono diverse le ragioni per cui politica e magistratura bilanciano i compiti che assolvono all’interno delle istituzioni. Le questioni vengono affrontate separatamente cosicché i cittadini abbiano a fatica una visione completa per determinarne falle o inghippi. Se la magistratura richiama come indispensabile l’utilizzo e il rafforzamento dello strumento delle intercettazioni per monitorare le liaison del potere politico, la politica richiama in campo la richiesta di  responsabilità civile dei magistrati. Quando la politica richiede la separazione delle carriere, nella magistratura riaffiora l’esigenza di una riorganizzazione funzionale del Consiglio Superiore della Magistratura. Scontri di parte, dove ognuno tenta di salvare o rinforzare quegli strumenti che hanno garantito una insindacabilità nel loro operato piuttosto che nell’esercizio delle attribuzioni.

Ci sono due condizioni che mortificano sia la politica che la magistratura: la possibilità di reiterare quasi a tempo indeterminato uno status di “fuori  ruolo” da parte del magistrato che voglia dedicarsi alla politica e l’occupazione dell’alta dirigenza dei pubblici uffici da parte di magistrati sostenuti dalle sfere politiche correnti. Solo una riformulazione di questi due aspetti summenzionati, basterebbe a riportare garanzia nel sistema della suddivisione dei poteri statuali.

Un magistrato che si dedica alla politica non sarà posto nelle condizioni di modificare o migliorare l’esistente. Intanto dovrà misurarsi col pregiudizio derivante dalle trascorse azioni giudiziarie intraprese durante la carriera, conoscenze di cui non potrà beneficiare come politico perché gli strumenti a sua disposizione non saranno né migliori né più efficaci di quelli adottabili all’interno del potere giudiziario. Anzi, la storia insegna che seppur un magistrato prestato alla politica possa conoscere con maggiore esattezza questioni già oggetto di indagini, si troverà un muro di politici seduti sugli scranni del Parlamento che faranno da compatto schieramento di opposizione, quand’anche appartenenti a compagini diverse.

Anche il magistrato nominato direttore generale all’interno dei dipartimenti di Stato non potrà mai agire liberamente, né dovrebbe operare con presunzione di autonomia in quanto il raggiungimento dell’obiettivo del buon andamento della P.A. rimane sovrano. Si tratta di incarichi economicamente allettanti, dove  magistrati si trasformano in burocrati, senza conoscere la materia da un punto di vista organizzativo, estranei dalle problematiche che si presentano nei diversi contesti periferici. Ciò si rivelerà in tutta la sua debolezza nelle circolari amministrative che saranno assunte. Ecco perché credo che il magistrato possa e debba fare solo il magistrato, allora sì che non si avrebbe necessità di una separazione delle carriere, né di modificare l’assetto delle intercettazioni.

Un magistrato, non deve essere relegato nelle stanze di un tribunale, egli può insegnare, può sensibilizzare, deve sollecitare, deve collaborare con la società civile anche durante l’esercizio della sua professione. Passaggi in politica o nella P.A devono essere vagliati attentamente e rappresentare l’eccezione alla regola altrimenti  i cittadini salderanno l’opinione di una giurisdizione bloccata, inefficiente e compromessa, dove le correnti politiche, in virtù delle nomine di compiacenza, saranno le sole a poter giocare con senso di autonomia e libertà, qualità che solo pochi magistrati conservano ancora gelosamente.


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