BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

“E’ necessario indignarsi, denunciare senza farsi intimidire”. Intervista al giornalista (sotto scorta) Paolo Borrometi

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“TU MORIRAI. PURE CHE MI ARRESTANO CE CHI VIENE A CERCARTI. TI VERRO A TROVARE, PURE CHE NN VALI NEANCHE I SOLDI DEL BIGLIETTO. TI DEVO ACCECARE CON LE DITA. NN TI SALVA NEANCHE GESU CRISTO. ADESSO NN ABBIAMO NULLA PIU DA RAGIONARE, IO HO PRESO LA MIA DECISIONE, DI GIOCARMI LA MIA LIBERTA. TI FARO’ PASSARE LA VOGLIA DI VIVERE”.

Minacce di morte al cronista Paolo Borrometi da parte del mafioso Venerando Lauretta. Il giornalista aveva denunciato una delle attività illegali che a Vittoria, in provincia di Ragusa, svolge la famiglia. Venerando Lauretta è stato già in carcere per associazione mafiosa e non teme di tornarci, per questo promette a Borrometi di fargliela pagare “A PAROLA DA UOMO”.
È una questione d’onore, perché il direttore di laspia.it ha denunciato anche il figlio di Lauretta, un fatto ritenuto inaccettabile. Oltre a questo ultimo episodio gravissimo si aggiungono le minacce ricevute già in passato, le molotov trovate in casa, le botte. Il mezzo preferito da uomini e donne della malavita però, sembra essere quello del social network ed in particolare di Facebook, il ché non rende questi fatti meno gravi né le minacce virtuali anziché reali. La violenza privata e la minaccia sono perseguiti dagli articoli 610 e 612 del Codice penale senza grosse distinzioni sullo strumento utilizzato e affermazioni come quelle di Venerando Lunetta, non lasciano spazio a particolari interpretazioni.

Quando lo incontro Paolo ha la sigaretta in bocca e due uomini camminano subito dietro di lui: me li presenta come i suoi angeli. Sono i ragazzi della scorta che non lo lasciano mai.

Come ti senti dopo queste ultime minacce ricevute?
“Il sentimento della paura credo sia legittimo e sano ma era dall’aggressione che non rivivevo un sentimento di paura così forte. Non penso sia un demerito. Ho subíto quasi ogni tipo di minacce, da quelle fisiche a quelle in rete e non credo che queste ultime siano meno gravi. Anzi. In questo modo Lauretta si accredita e si comporta, secondo lui, da uomo d’onore. Le minacce su Facebook indignano meno, ma sono ancor più pericolose perché raggiungono una platea smisurata e permettono di dare ordini in modo veloce”.

Più volte hai parlato dell’importanza di fare squadra. Quello che è accaduto attraverso Io non taccio, il libro scritto da te e da altri colleghi sotto attacco.
“È una bellissima esperienza proprio perché realizzata con altri colleghi. Fare rete, farci da scudo l’un l’altro. Perché oggi tocca a me ma da un momento all’altro potrebbe essere il turno di qualcun altro. Inoltre sento che sarò sempre grato alle forze dell’ordine. Perché il sistema giustizia anche se è lento, c’è. Sento la solidarietà delle autorità competenti, dal Questore al Procuratore di Ragusa fino al capo della Mobile”.

In che modo l’informazione e la società civile possono reagire di fronte a questi fatti così gravi?
“Troppo spesso le persone si chiedono: se denuncio poi come va a finire? Ma bisogna ribadire loro che la giustizia arriva e che è necessario indignarsi, denunciare senza farsi intimidire. Giovanni Spampinato è per me un mito ma, oltre a commemorare chi non c’è più, dobbiamo domandarci che cosa questo Paese e la società civile stiano facendo per chi è ancora vivo. Essere vivo non deve essere la discriminante per indignarsi. Non è possibile aspettare che persone come me, come Nello Trocchia, Federica Angeli, Lirio Abbate, Michele Albanese e tanti altri purtroppo, non ci siano più per reagire. Non si può aspettare che ci sia un cronista ucciso per capire che le minacce della mafia su un social sono reali tanto quanto quelle fatte nel passato con altri mezzi. Per questo è importante quello che sostengono Giuseppe Giulietti e Articolo21 sulla scorta mediatica per i giornalisti minacciati”.

Paolo Borrometi non è solo ma è necessario non tacere, diffondere e sottoscrivere le inchieste scomode andando in questo modo anche oltre la solidarietà. È necessario dimostrare che “una penna è più forte di una pistola”.


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