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Myanmar, rischiano il carcere per aver preso in giro su fb il capo delle forze armate

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I militari di Myanmar sono permalosi, soprattutto il comandante in capo delle forze armate, il generale Min Aung Hlaing.
Il 12 ottobre Chaw Sandi Tun, una donna di 24 anni, ha pubblicato sul suo profilo Facebook un post nel quale commentava che la leader dell’opposizione e premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi indossava abiti di un colore simile a quello delle forze armate. Rivolgendosi al generale Min Aung Hlaing, proseguiva così il suo post: “Se [lei] ti piace così tanto, usa un pezzo del suo sarong come copricapo”.
Questa “offesa” va spiegata. In una società patriarcale e maschilista come quella di Myanmar, l’idea che un uomo indossi abiti femminili è considerata un insulto grave. Tanto più se, come in questo caso, l’uomo preso di mira è il capo delle forze armate.

Chaw Sandi Tun si trova nel carcere di Maubin, nella regione di Ayeyanwady. Dovrebbe comparire di fronte al giudice il 27 ottobre ma non ha ancora un avvocato.
Due giorni dopo il suo arresto, è stata la volta di un pacifista di 43 anni, Patrick Kum Jaa Lee. Aveva pubblicato sul suo profilo Facebook l’immagine di uno sconosciuto che calpesta una foto del generale Hlaing. Lo hanno arrestato e gli hanno sequestrato telefono e computer.

Patrick Kum Jaa Lee si trova in stato di fermo in una stazione di polizia di Yangon. Rischia fino a tre anni di carcere per violazione dell’articolo 66 (d) della legge sulla telecomunicazioni del 2013, che punisce “l’estorsione, la coercizione, la diffamazione, l’interferenza indebita, il disturbo o la minaccia nei confronti di una persona mediante i servizi di telecomunicazione”.

Chaw Sandi Tun e Patrick Kum Jaa Lee sono le prime due persone arrestate per aver pubblicato post sui social media. Questo significa che le autorità di Myanmar intendono allargare la loro morsa repressiva sulla libera circolazione delle idee anche alla Rete.

Per aver criticato le autorità nella forma più tradizionale, offline, risultano in carcere 93 prigionieri di coscienza. Ora il totale delle persone detenute o condannate solo per aver espresso le loro opinioni potrebbe salire a 95.


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