Il viscerale attacco alla storia sindacale e politica di Beppe Giulietti, affinchè non diventasse presidente della FNSI, nasconde in verità due criticità: l’umano rancore e l’invidia personale di alcuni, un tempo cresciuti all’ombra delle “creature sindacali” nate proprio dall’impulso ideale di Giulietti e tanti altri amici in oltre 30 anni di impegno; la crisi profonda del “sindacato unitario”, così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi.
Articolo 21, nel suo stile di dare voce a tutte le posizioni, ha correttamente riportato gli interventi dei sostenitori e dei detrattori di Giulietti. E questo ci fa onore e ci distingue da qualsiasi altro movimento e associazione di idee.
Dei problemi psicologici e carrieristici di chi indossa i panni dei “rottamatori”, degli “innovatori”, del “cambiamento e della modernità”, non possiamo curarci. Le loro ansie di protagonismo erano note da tempo, ma alcuni dirigenti passati ed attuali della FNSI non ne hanno capito la perniciosità e il danno che avrebbero apportato a tutto il sindacato e, di conseguenza, alle sorti della categoria. Errori di valutazione, di credere che il tutto si potesse risolvere nell’alveo del dibattito delle componenti di Autonomia e Solidarietà (altra “creatura giuliettana”).
La professione, il nostro mestiere di “artigiani” dell’informazione, da anni sta subendo una trasformazione epocale, grazie allo sviluppo continuo delle nuove tecnologie. La nascita del “citizen journalism” on line ha decretato la fine del giornalismo tradizionale, la comunicazione avviene su più piattaforme, la crossmedialità si è imposta al consumo di centinaia di milioni di lettori e “visitatori”. I massmedia tradizionali sono entrati in crisi di vendite e di ascolti, i maggiori gruppi editoriali del mondo licenziano, perdono profitti e cercano di ristrutturarsi, imponendo contratti precari e bassi salari. In Italia la situazione è ancor più critica, in quanto non esistono “editori puri”, ma coacervi di interessi finanziari-industriali-politici, in mano a pochi gruppi, per lo più incrociati tra loro.
Licenziamenti, ristrutturazioni periodiche, cassa integrazione, contratti di “solidarietà”, ridimensionamenti dei ruoli professionali, decontrattualizzazioni: insomma, una giungla retributiva e lavorativa che da troppi anni ha messo sotto schiaffo i giornalisti e il sindacato. Nonostante le analisi critiche sull’evoluzione del mercato dei massmedia nell’era del WEB, la FNSI non ha saputo adeguare le sue strutture (non esiste un vero e proprio Centro studi, per esempio) né i suoi dirigenti si sono impegnati ad analizzare le tendenze del mercato globale, per cercare strategie efficaci.
Il tutto, mentre i gruppi editoriali andavano ridimensionando il loro interesse sui media tradizionali, per allargare i propri orizzonti verso le multipiattaforme, entrando nelle TLC, nelle Radio e TV satellitari, nel mondo del WEB per ricercare nuovi profitti. Mentre nel settore della comunicazione globale gli OTT, le grandi multinazionali Over The Top (Microsoft, Google, Facebook, Netflix, e altre ancora) si imponevano sul mercato della crossmedialità, macinando guadagni miliardari, al riparo dei “paradisi fiscali”. E con l’estendersi del “citizen journalism” sempre più il giornalismo professionistico viene ridotto a mero lavoro di “copia e incolla”, di intervento in seconda battuta. I redattori restano ancorati al desk, mentre solo i più potenti e ricchi Network riescono ancora a utilizzare gli inviati in giro per il mondo, spesso però sostituiti da free lance locali o anche dalla nuova figura del “global journalist”: inviati “fai da te”, che a proprio rischio e pericolo vanno laddove potrebbe scatenarsi un fronte d’interesse mediatico. In alcuni casi sono proprio questi “global journalist”, magari riuniti in associazioni autonome dai gruppi editoriali (come l’ICIJ, l’International Consortium of Investigative Journalism), che riescono a scoprire scandali finanziari e politici di dimensioni planetarie che tanto irritano i “poteri forti”.
Le domande da farsi per un sindacato moderno sono: cos’è il giornalismo oggi, chi ha la titolarità per definirsi giornalista, come tutelare la vasta platea di “informatori via WEB”?
Intanto, abolendo l’anacronistico Ordine dei giornalisti, che tutela solo coloro che si fregiano di un titolo ottenuto da un cursus di praticantato e da un esame ormai fuori dalla realtà della “global communication”. Chi tutela i giovani giornalisti locali minacciati dalle organizzazioni criminali, che spesso lavorano senza contratto, ricattati da querele milionarie e dai potentati politici e affaristici? Questi “precari” si rivolgono al sindacato o alle organizzazioni come Articolo 21 perché venga “illuminato” il loro lavoro di inchiesta, perché vengano attivate difese giudiziarie. Fatto sta che il mondo della professione, inteso come tutti coloro che lavorano a contratto nei media tradizionali, non si mobilita, non mostra segni tangibili di solidarietà, anzi molto spesso neppure dà notizia di quanto sta accadendo. E che dire poi dell’uso massiccio di reportage, foto e video, di articoli grezzi dei “citizen journalist”, che una volta “postati” ai grandi giornali, vengono ripresi “copia e incolla”, senza che neppure vengano citati i loro nomi? E chi mai li rimborserà del loro sforzo professionale? E quando mai potranno far valere questi lavori su un CV, per sperare magari di essere un giorno contrattualizzati?
Purtroppo, questo sindacato da tanti anni non è più unitario, se non quando c’è da trattare sulle poltrone, gli sgabelli e gli strapuntini, per scopi che ben poco hanno a che fare con i destini della categoria. Tranne poche eccezioni di alcuni dirigenti esponenti della FNSI, questo sindacato non è riuscito a proporre strategie e strumenti validi per arginare la crisi strutturale del settore né ad avanzare contratti inclusivi fuori dai canoni. Certo, qualche passo avanti è stato fatto verso il lavoro precario, il cercare di arginare la pericolosa deriva di smantellamento finanziario degli istituti come INPGI e CASAGIT. Ma è la stessa struttura federativa, che dura da un secolo, che non funziona più. In molti paesi dell’Unione Europea, dove non esiste l’Ordine, ci sono più organizzazioni sindacali di categoria eppure i giornalisti sono tutelati lo stesso. E’ giornalista riconosciuto chi fa questo mestiere, senza doversi iscrivere ad un qualsiasi ordine. Le forme contrattuali sono diverse, ma il “contropotere” dei giornalisti e la loro autonomia sono molto forti e godono della fiducia dell’opinione pubblica.
Non così in Italia: noi siamo visti nei sondaggi come la “propaggine” del potere politico, come coloro che “sarebbe meglio rottamare” o addirittura “inaffidabili”.
Una rivoluzione etica dovrebbe avvenire anche dal sapersi innovare: tagliare i cordoni ombelicali con un sistema arcaico professionale e sindacale. Aprire il sindacato alla globalità del “citizen journalism”. Chiudere con l’esperienza dell’organizzazione federativa, dove “pesano” le realtà regionali e non “contano” le realtà produttive, lavorative nazionali, interattive, multimediali. Distinguere solo tra chi fa e vive di questo lavoro, da coloro che occasionalmente vestono i nostri panni, ma che vivono e guadagnano con un altro lavoro. Due soli grandi elenchi: quelli che sono giornalisti contrattualizzati e coloro che non lo sono. Un base minima retributiva di partenza uguale per tutti, che poi si modifichi con la contrattualizzazione del singolo (non importa se a tempo determinato o a tempo definitivo), ma che tenga conto della quantità e qualità lavorativa. Un contratto unico nazionale non può appiattire le professionalità, com’è adesso, deve ma tutelare i minimi veramente, stabilendo anche sanzioni a quegli editori che non rispettano le regole. Terzietà degli organi di autotutela deontologica, come la creazione del Giurì aperto e del sistema delle “querele temerarie”, sulla falsariga degli ordinamenti anglosassoni. Obbligatorietà dell’iscrizione di tutti (contrattualizzati, precari e “citizen journalist”) agli istituti di tutela come INPGI e CASAGIT, sostenuti anche attraverso contributi pubblici, in quanto organi “sussidiari” all’INPS e all’assistenza sanitaria nazionale.
Potrebbe significare la fine del Sindacato unico ed unitario, certo! Ma anche la liberalizzazione verso forme associative diverse da oggi. Significherebbe inoltre creare enormi potenzialità lavorative ai giovani ed allargare la platea dei giornalisti in una società, che sta facendo, e farà ancor più nel futuro, della comunicazione il primo servizio sociale globale e il più grande mercato produttivo extra-commodities.