BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

“Vi racconto di mio padre Ion, bruciato vivo. E degli stranieri ancora sfruttati”

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“Un uomo bruciato vivo”, scritto da Dario Fo e Florina Cazacu, racconta la terribile vicenda del romeno Cazacu ucciso dal datore di lavoro nel 2000 e riflette sui persistenti soprusi verso i lavoratori immigrati. Il premio Nobel: “Siamo tutti colpevoli per distrazione”

 

ROMA – “Siamo tutti responsabili, per distrazione. Una distrazione preoccupante, pericolosa, il vuoto assoluto della presa di coscienza. La parte attiva, civile della nazione era bloccata, come lo è ora, e la disinformazione è la parte portante del potere”. Sono parole molto dure quelle che pronuncia Dario Fo alla presentazione del libro “Un uomo bruciato vivo – Storia di Ion Cazacu” (Chiarelettere, 2015), scritto a quattro mani con Florina Cazacu, figlia della vittima, che chiese aiuto a Franca Rame per raccontare il terribile omicidio di suo padre avvenuto nel 2000. La sala dell’Ambasciata di Romania è gremita, gente in piedi, fotografi che girano per ritrarre i personaggi noti intervenuti. Durante le letture e gli interventi le facce commosse sono molte, ma sono tante le voci che raccontano la rabbia per le ingiustizie subite, che non accennano a diminuire neanche oggi.

Ion Cazacu era un ingegnere romeno di 40 anni che in Italia, a Gallarate, faceva il piastrellista, alle dipendenze di Cosimo Iannece. Alle sue richieste di avere un contratto regolare ed essere pagato, il 14 marzo del 2000, l’imprenditore piombò nella casa che Cazacu divideva con 12 connazionali gridando “Ti brucio e ti ammazzo”, lo cosparse di benzina e gli diede fuoco, chiudendolo nella cucina dove era avvenuta l’esplosione per impedirgli di salvarsi. Dopo 30 giorni di agonia, con ustioni sul 90% del corpo, la vittima morì. Iannece fu condannato in primo e secondo grado a 30 anni di reclusione, poi la Cassazione ridusse la pena a 16 anni, furono tolte le aggravanti di premeditazione e motivi abbietti, e dopo dieci anni uscì di prigione. Florina lo incrocia per strada a Gallarate. “Ho scoperto che c’era un fondo ancora più fondo di quanto accaduto, che ha riaperto la ferita, l’unica vera sconfitta era la giustizia”, commenta con amarezza. Spiega di aver deciso di scrivere questo libro per liberarsi dal peso che continua a farle rivivere quei momenti. “Sembra un’opera sacra per la violenza mitica racchiusa in essa”, aggiunge Fo, ricordando le terribili immagini portate in prima serata su Rai 2 da una trasmissione di Michele Santoro.

In sala diversi interventi ricordano i due pesi e due misure della giustizia italiana, con pene lievi inflitte a italiani e l’ergastolo a Mailat per l’omicidio di Giovanna Reggiani nel 2007. “Serve una riforma della giustizia, una legge che faccia marcire in galera i pazzi assassini – aggiunge Florina -, ma ricordiamoci che la responsabilità è sempre individuale e personale: avevo 17 anni quando è successo, ma non ho mai confuso Iannece con tutta la sua famiglia né con gli italiani in generale. La violenza non ha nazionalità, colore di pelle o religione”.

“In questa storia c’è un’ingiustizia più profonda – commenta Santoro -, è stato cancellato completamente il contributo positivo che queste persone hanno portato al nostro paese. Pensiamo che lo sfruttamento derivi da condizioni di arretratezza, e dimentichiamo che la nuova Fiera di Milano, anche l’Expo sono stati costruiti con il supersfruttamento dei lavoratori stranieri. Le stesse persone che aggrediscono i romeni accusandoli di ogni nefandezza ci fanno la fortuna. Dobbiamo ritrovare questi termini e fare una lotta per i diritti affinché questo non si ripeta”. La prefazione del libro ricorda un’operazione anti-evasione che fece emergere una frode contributiva per 23 milioni di euro nella stessa zona dove avvenne l’omicidio, e stima in circa 1.400 persone gli stranieri vittima degli sfruttatori, mentre ancora oggi le pagine di cronaca raccontano di soprusi giunti alle estreme conseguenze al suono di “O così o ve ne potete tornare al vostro paese”.

“Siamo in Europa dal 2007, ma poco è cambiato – dice un signore romeno, sindacalista, in Italia da 19 anni -. Facciamo iniziative per ricordare le morti bianche, ma i lavoratori senza permesso vengono scaricati davanti agli ospedali, o abbandonati nei campi. Il 50% della forza lavoro nell’edilizia è straniera, ma se ne parla solo in cronaca nera”.

“Nessuno è innocente – aggiunge il vignettista Vauro -, la nostra colpa è l’indifferenza, anche di fronte all’evidenza delle fiamme. Ed è una colpa antica, l’Olocausto è stato possibile, oltre che per la follia criminale di Hitler, perché un’intera popolazione è stata indifferente. Prima i romeni, poi gli ‘extracomunitari’, ora altri nemici, per la paura di vedere che siamo complici e colpevoli di fronte a persone uguali a noi che devono viaggiare. Per ogni straniero che entra in Italia, ci sono quattro italiani che vanno all’estero: oggi i migranti siamo noi”.

Il libro è scritto in forma di intervista di Dario Fo alla figlia dell’ingegnere romeno morto per la follia omicida del suo datore di lavoro. È il racconto in soggettiva del fatto di cronaca che scosse l’opinione pubblica nel 2000: il tenero rapporto del padre con le figlie, le condizioni sociali in Romania, la necessità di andare all’estero per mantenere la famiglia, le bugie raccontate ai familiari per far credere che la situazione fosse migliore della realtà. E poi il tragico ingresso in un incubo, con una telefonata dall’Italia alle cinque del mattino, la difficoltà di farsi fare un passaporto per correre al capezzale del familiare, il funerale, la ricostruzione dei fatti tramite le testimonianze e gli atti processuali, la difficoltà di capire la lingua e le sottigliezze giuridiche.

“Cosa significa azzeccagarbugli?”, chiede Florina. Da quel punto il testo si allarga dalla tragica esperienza personale ad abbracciare un fenomeno sociale ed economico, fatto di sfruttamento del lavoro ed evasione fiscale, e al terrore spinto fino all’omicidio per “affermare la propria posizione di dominus”, secondo le parole del procuratore generale Bruno Fenizia. Il racconto di Adriano “Copilul” (ragazzino in romeno), preso sotto l’ala protettiva di Ion, svela un mondo fatto di soprusi e miseria, in cui si può essere rimpatriati per una falsa denuncia anonima da parte del datore di lavoro per non pagare il dovuto.

La stessa esperienza di Florina, giunta in Lombardia col proprio fidanzato, in lotta continua per ottenere riconosciuti i propri diritti e il proprio salario, mostra come la situazione non sia migliorata con gli anni. La crisi economica e l’afflusso di altri migranti ancor più disperati ha completato l’opera: la postfazione di Salvatore Cannavò riporta in numeri ciò che si può osservare alle sei del mattino alla periferia di Roma, o lungo la Pontina con migliaia di sikh in bicicletta, le campagne di Nardò e gli aranceti di Rosarno. Persone pagate pochi euro al giorno, vittime di caporali, assunte in nero e quindi senza tutele né sicurezza sul lavoro, pagate mediamente il 16% meno degli italiani (25% per le donne), che non riescono ad accedere a professioni qualificate nonostante il titolo di studio. “Non è un libro facile da leggere – commenta Florina Cazacu -, non è di quelli da mettere sotto l’albero di Natale: nessuno si può riconoscere in questa violenza”. (Elena Filicori)

Da redattoresociale


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