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La riforma sulle intercettazioni e il garantismo delle libertà

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Torna in discussione alla Camera dei Deputati il disegno di legge di riforma del sistema penale (ddl C. 2798), contenente fra l’altro alcune fondamentali direttive in materia di utilizzo delle intercettazioni telefoniche ed ambientali. Non sono pochi coloro che hanno intravisto in questa importante novella normativa lo stigma dell’ennesima “legge bavaglio” preconfezionata con l’intento di colpire, scientemente, la libertà di informazione. Dico da subito che sento di non condividere un giudizio tanto lapidario. Il legislatore non può fare a meno di affrontare un problema oggi pressante che attiene al contemperamento fra l’esercizio del diritto di cronaca giudiziaria e la tutela della riservatezza delle persone. Di tutte le persone; anche (e forse soprattutto) di quanti sono sottoposti ad un procedimento penale e che non per questo sono “figli di un dio minore” in uno Stato di diritto. Dobbiamo avere il coraggio e l’onestà intellettuale di riconoscere che, molto spesso, l’attenzione mediatica tende a focalizzarsi su notizie emergenti da captazioni investigative che non hanno alcun rilievo penale e neanche latamente politico. Le intercettazioni sono un mezzo di ricerca della prova indispensabile ed insostituibile, laddove consentono di accertare dinamiche delittuose, di ricostruire legami criminali, di individuare latitanti, di prevenire la reiterazione di reati. Il loro uso distorto assume, però, una valenza intollerabile per chi è sensibile ai valori del garantismo libertario allorché, pervadendo la più intima sfera di vita, è in grado di svelare abitudini sessuali, rapporti sentimentali, linguaggi confidenziali, costumi quotidiani che alimentano un pruriginoso voyeurismo che non onora affatto la storia del giornalismo italiano, pur costituendone da sempre una ricorrente degenerazione. Nessuna pregiudiziale ostilità può dirsi giustificata, pertanto, con riguardo alla necessità di «prevedere disposizioni dirette a garantire la riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni telefoniche e telematiche oggetto di intercettazione, in conformità all’articolo 15 della Costituzione, attraverso prescrizioni che incidano anche sulle modalità di utilizzazione cautelare dei risultati delle captazioni e che diano una precisa scansione procedimentale all’udienza di selezione del materiale intercettativo, avendo speciale riguardo alla tutela della riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni delle persone occasionalmente coinvolte nel procedimento, in particolare dei difensori nei colloqui con l’assistito, e delle comunicazioni comunque non rilevanti a fini di giustizia penale». Ci si potrà dividere sulle scelte che adotterà il Governo per applicare questa direttiva ma non si può disconoscere, a priori, il valore pregnante di tale orientamento di civiltà sociale e giuridica. Molto si è discusso, a volte in maniera strumentale, circa l’opportunità dell’ulteriore parametro legislativo con cui si mirava a perseguire, con una pena da sei mesi a quattro anni, «chiunque diffonda, al fine di recare danno alla reputazione o all’immagine altrui, riprese o registrazioni di conversazioni svolte in sua presenza e fraudolentemente effettuate». I più critici hanno sostenuto che una simile previsione avrebbe finito col censurare inesorabilmente le più celebri ed apprezzate trasmissioni dedicate all’approfondimento giornalistico ed alla “tv verità” (come “Report”, “Le Iene”, “Striscia la notizia”, “Presa diretta” ecc.). In realtà, tale condotta delittuosa è già da tempo perseguita nel nostro ordinamento penale (si vedano artt. 614 ss. c.p.), ancorché in una maniera che non tutela adeguatamente la divulgazione illegale di immagini, riprese o registrazioni che può avere ed ha avuto, specie quando ha coinvolto adolescenti, esiti devastanti. Il richiamo al requisito del “dolo specifico” (“la preordinata volontà di recare danno alla reputazione o all’immagine altrui”), quale elemento costitutivo del reato in questione, avrebbe dovuto evitare ogni forma di repressione autoritaria nei confronti dei mass media che certamente – si deve presumere – non perseguono simili finalità. L’eliminazione di questo emendamento dal disegno di legge può, comunque, ritenersi utile nella misura in cui favorisce la serenità di un confronto parlamentare non più procrastinabile per il bene del Paese.


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