Dal momento che non abbiamo mai condiviso la “via disciplinare al giornalismo”, non la invocheremo neppure nei confronti dei giornali, dei giornalisti e delle trasmissioni più lontane e distanti dalla nostra sensibilità etica, politica, professionale.
Questo principio vale sempre e comunque, quindi anche nei confronti della puntata di “Porta a Porta” con i Casamonica ospiti in studio.
Carlo Freccero, geniale uomo di Tv e consigliere di amministrazione della Rai, ha sostenuto la necessità di non nascondere nulla neppure i mostri che popolano la nostra comunità.
Non si tratta dunque di “oscurare” qualcuno o qualcosa, ma almeno di smetterla di cancellare chi da tempo ha perso il diritto all’esistenza mediatica e, di conseguenza, anche politica.
Proprio perché abbiamo sempre odiato censure ed editti, possiamo almeno esprimere qualche dubbio sulla opportunità di organizzare una trasmissione sui Casamonica?
Si offende qualcuno se condividiamo le parole di Federica Angeli, giornalista di Repubblica costretta a vivere sotto scorta per le sue inchieste su mafiacapitale, quando critica l’assenza di un vero contraddittorio?
Era così necessario “sdoganarli” nel salotto più istituzionale della tv, a poca distanza dalle violente polemiche che hanno accompagnato uno dei più discussi funerali di questa stagione?
Ed ancora per quale ragione, e qui non c’entrano i Casamonica, non si riescono a promuovere serate dedicate ai cronisti minacciati da mafia e camorra?
Perché le stragi sul lavoro, solo in queste ore altre tre vittime, non meritano mai alrettanta attenzione?
Basta con la dittatura degli ascolti, ha giustamente dichiarato il direttore generale Campo Dell’Orto, eppure molte delle scelte editoriali, a cominciare dai temi da trattare e dagli ospiti in studio, discendono proprio dalla dittatura degli ascolti e questo spiega anche la presenza a tutte le ore, a reti quasi unificate, dei professionisti dell’urlo, della bestemmia, dell’odio e del razzismo.
Costoro non sono meno pericolosi dei Casamonica di turno, e forse questo dovrebbe diventare il tema del confronto e delle decisioni.
Il prossimo 23 settembre saranno passati 30 anni dall’assassinio di Giancarlo Siani, ammazzato per sue inchieste sulla camorra e circondato in vita dalla indifferenza e dal cinismo di chi preferiva mantenere, nel migliore dei casi, rapporti di buon vicinato con le mafie e il malaffare.
La Fondazione che porta il suo nome, animata con insesauribile passione civile dal fratello Paolo, ha programmato decine di iniziative non solo per ricordare la memoria e il sacrificio di Giancarlo, ma anche per “illuminare” i giovani cronisti che hanno raccolto quel testimone e continuano ad operare nelle terre di frontiera.
Perché non utilizzare questa triste ricorrenza per dare spazio e voce alle denunce e alle inchieste dei cronisti impegnati a contrastare mafie e camorre?
Alcuni di loro, per altro, da tempo sono costretti a vivere sotto scorta perché hanno hanno illuminato quello che avrebbe dovuto restare oscurato.
Il modo migliore per non lasciarli soli é proprio quello di fornire loro la “scorta mediatica”, di non lasciarli soli, di riprendere le loro denunce, di amplificare le loro inchieste, di ripubblicarle su siti e blog, di farle diventare una sorta di inchiesta a firma plurima e popolare.
Ci saranno tg e piazze televisive disposte a farlo?
Il 23 settembre non sia solo giornata della memoria, ma anche una giornata della solidarietà con chi ha scelto di stare, sempre e comunque, dalla parte della legalitá e dell’articolo 21 della CostituzIone, come aveva scelto di fare Giancarlo Siani.