E’ stato l’annus horribilis delle campagne italiane, il 2015. Le morti dei braccianti in Puglia e il dilagare dello sfruttamento – anche minorile – nei campi della Sicilia hanno resuscitato fenomeni che sembravano seppelliti dalla storia e che, invece, continuano a prosperare nel silenzio polveroso dei campi. Fra i primi a lanciare l’allarme del ritorno del caporalato c’è Alfio Mannino (Flai Cgil), sindacalista di strada (così si definisce), uno dei massimi conoscitori del caporalato. Tra gennaio e marzo di quest’anno, durante la campagna di raccolta degli agrumi, ha battuto – assieme al videomaker Riccardo Napoli, – le piazze del catanese in cui si radunano i lavoratori di primo mattino prima di raggiungere i campi a bordo dei furgoni dei “caporali” e ha dato vita ad una videoinchiesta, “Terranera”, che ha portato alla luce allarmanti episodi di neoschiavismo su cui è intervenuta anche la magistratura- nove caporali sono stati arrestati a seguito dell’inchiesta – e che ha avuto il pregio di aver fatto esplodere, in tempi non sospetti, il bubbone del nuovo caporalato tanto da essere stata citata come modello di lavoro sindacale dalla stessa segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso.
Lo abbiamo intervistato.
Mannino, pensavamo il caporalato fosse una parola consegnata alla storia. E invece…
E invece è più viva che mai, come diciamo da tempo. Se fosse stato ascoltato per tempo il nostro grido d’allarme probabilmente non saremmo giunti ai fatti drammatici cui abbiamo assistito anche quest’estate ed avremmo norme in grado di combattere il caporalato ed ogni altra forma di illegalità. E tuttavia, seppur tardive, apprezziamo comunque le parole del ministro Maurizio Martina che ha parlato recentemente di “caporalato da combattere come la mafia”. A questo punto, però, sollecitiamo il ministro e il governo ad indicare gli strumenti da mettere in campo per combattere efficacemente questi fenomeni che, duole ammetterlo, sono stati sottovalutati anche dai media. Se oggi i riflettori si sono accesi sullo sfruttamento nelle campagne è anche grazie ad iniziative quali il sindacato di strada e l’inchiesta “Terranera”. Lo dico non per autocompiacermi ma per rispondere a chi sostiene, spesso strumentalmente, che il sindacato non tutela gli “ultimi”. Ebbene, se non sono “ultimi” quelli che vengono schiavizzati nei campi…
Come va affrontata una situazione così grave?
Il problema è complesso e nessuno ha la bacchetta magica. Conosciamo le le condizioni a dir poco precarie in cui vivono i lavoratori della terra: costretti a lavorare fino a 12 ore e oltre per pochi euro al giorno privi di ogni tutela e in condizioni di sicurezza spesso estreme, come dimostrano, purtroppo, le vicende di Mohamed, Paola e gli altri lavoratori morti nelle campagne pugliesi. Nella nostra provincia, a Catania, cominciamo a registrare però segnali importanti grazie alle operazioni di questi giorni del Nucleo Ispettorato del Lavoro e dei Carabinieri, che hanno fatto emergere numerosi casi di lavoro nero nell’acese e nel calatino, con 21 posizioni irregolari su 28 in un primo controllo e di 16 su 46 nel secondo. Questi dati dicono che le nostre denunce erano fondate. Ma a questo punto la denuncia non basta più, sono necessarie norme del diritto penale e del diritto del lavoro che contrastino efficacemente il fenomeno. È necessario estendere l’articolo 603 bis sul caporalato anche agli imprenditori che utilizzano queste braccia, è necessario che l’incontro fra domanda e offerta di lavoro avvenga in un luogo pubblico, è necessario disincentivare chi utilizza sottosalario e lavoro nero, affinché le aziende “canaglia” vengano escluse dai fondi comunitari.
Come continuerà la battaglia sul caporalato che avete intrapreso con sindacato di strada e con Terranera?
Vogliamo dare continuità al lavoro svolto sin qui mettendo in campo e coniugandoli tra loro tutti gli strumenti, quelli tradizionali del sindacato ma anche quelli che oggi ci offrono le nuove tecnologie. Lanceremo nei prossimi giorni la proposta di un osservatorio permanente sul caporalato e lo sfruttamento nelle campagne che dovrebbe avere “sede” sul web. Il web può essere uno strumento formidabile per contrastare questi fenomeni, per informare e sensibilizzare i cittadini, per mettere in rete le esperienze virtuose, per valorizzare le realtà positive, per supportare le iniziative tutte le iniziative, anche istituzionali, di lotta al caporalato e infine per segnalare e denunciare gli abusi. Insomma un grande “occhio” su quei territori senza leggi e senza regole che sono diventate le campagne.
Insomma, coniugare il sindacato di strada al sindacato 2.0.
Come ho già detto, vanno coniugati tutti gli strumenti. In questo caso, vorremmo mettere su un osservatorio web, un sito tematico che, pur partendo dalla nostra realtà, abbia carattere nazionale poiché il caporalato non è fenomeno circoscritto alla Sicilia o al Mezzogiorno. Siamo a conoscenza di casi di sfruttamento che riguardano regioni importanti, quali Piemonte e Veneto, e riteniamo necessario che la questione abbia respiro nazionale. Naturalmente, vogliamo realizzarlo con spirito partecipativo, raccogliendo il contributo di chiunque vorrà darci una mano. Anche perché il caporalato non si batte solo nelle campagne ma anche responsabilizzando e sensibilizzando i cittadini e diffondendo la cultura della legalità, del consumo etico e del lavoro di qualità nell’insieme della società.
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