Aylan, 3 anni, morto annegato sulla spiaggia in Turchia. Il mondo discute sulla sua pubblicazione. Tra le principali organizzazioni umanitarie prevale il consenso a renderla pubblica. Unicef: un dramma che non può essere taciuto
Associazioni, cittadini, media: la foto del bambino siriano morto sulla spiaggia in Turchia, pubblicata da moltissime testate italiane e internazionali, fa discutere, divide e muove le coscienze. Il piccolo è stato trovato ieri su una spiaggia di Bodrum, la stessa da cui era partito a bordo di un barcone diretto in Grecia insieme alla sua famiglia e altre persone. Il bimbo si chiamava Aylan, aveva tre anni. La rete, come sempre accade, è la prima a reagire. In molti ripubblicano la foto, altri scelgono solo di commentare.
Su twitter l’Unicef scrive: “Siamo sconvolti dalla tragica immagine del bambino siriano annegato. I bambini rifugiati hanno urgente bisogno di protezione”. E Andrea Iacomini, suo portavoce: “Io credo che questa foto vada postata. Il dramma di tanti bimbi innocenti non può restare taciuto. Un dolore enorme”.
“Ho pensato a lungo e intensamente prima di ritwittare la foto – commenta Peter Bouckaert, direttore per le emergenze di Human rights Watch – Sono attualmente in Ungheria, a documentare il viaggio dei rifugiati siriani, il gran viaggio che oggi si è preso un’altra giovane vita. Quasi tutti i siriani che ho intervistato hanno avuto un contatto ravvicinato con la morte durante il loro viaggio. I miei taccuini sono piene di tragedie. Alcuni dicono che l’immagine sia troppo offensiva per essere condivisa online o essere stampata sui nostri giornali. Ma quello che trovo offensivo è che i bambini annegati stiano arrivando le nostre coste, quando di più si sarebbe potuto fare per evitare la loro morte. Non è stata una decisione facile condividere la brutale immagine di un bambino annegato. Ma mi interessano questi bambini tanto quanto i miei. Forse se fosse così anche per i leader europei, avrebbero cercato di arginare questo dramma”.
Carlotta Sami, portavoce dell’Alto commissariato per i rifugiati, sempre su Twitter commenta: “Non è possibile, ancora bambini. Rifugiati che dovrebbero trovare protezione. Morti sulle coste del Mediterraneo”.
“Di fronte alle immagini di #Bodrum, chiediamo di abbracciare come il soccorritore questi bambini: ci impegniamo ogni giorno per aiutarli!”: questo il commento di Terre des Hommes, che fa riferimento in particolare alla foto in cui un uomo in divisa prende in braccio il corpo del bimbo per portarlo altrove (in Italia tre quotidiani hanno pubblicato la foto del solo bambino riverso di spalle sulla battigia). Actionaid Italia cita Dostoevskij: “Hanno pianto un po’, poi si sono abituati. A tutto si abitua quel vigliacco che è l’uomo.”
La Tavola della pace scrive: “Guardiamola! Anche se straziante. Guardiamoci dentro! Domandiamoci se stiamo facendo ciò che è giusto”. E Flavio Lotti, coordinatore della Tavola, aggiunge: “Se questa immagine non cambierà il nostro atteggiamento verso i rifugiati cosa potrà riuscirci?”.
“Siamo sconvolti: non ci sono più parole per descrivere l’orrore”, sottolinea in una nota Silvana Mordeglia, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli assistenti sociali, che parla di “ennesima truce immagine di una altrettanto ennesima disperazione rimasta inascoltata. Non tolleriamo più che si dica non abbiamo potuto salvare quel bambino.” “Sento di esprimere la rabbia e la frustrazione – continua – di quanti come noi da anni, non da giorni, sottolineano la necessità di realizzare interventi concreti, e non di immagine, sull’accoglienza di chi fugge da situazioni di vera disperazione, di morte e di violenza, chiedendo, sin dai primi numerosi sbarchi, la costruzione di corridoi umanitari e di strutture di accoglienza non improvvisate. Oggi con le rivolte di piazza, con le foto che narrano quanto accade non ci sono più alibi: le Istituzioni tutte, dall’Europa ai nostri Comuni, smettano di assumere atteggiamenti pilateschi e si ricordino che quell’acqua è sporca sempre più di sangue di vittime innocenti come quel bambino. Non possono più essere lasciate sole persone, gruppi e professionisti che da anni hanno dato il massimo nel sostenere questi esseri umani in fuga, per evitare che anche loro si possano arrendere a queste ondate.”
Questo il commento di Valerio Neri, direttore generale di Save the Children: “Aylan, il bambino siriano annegato ed approdato sulle coste turche e quelli che sulle coste libiche sembrano dormire sull’acqua. I bambini ammassati al confine ungherese, con le vite bloccate da un muro e il filo spinato riflesso negli occhi. I bambini “segnati” dalla guerra da cui scappano e da un pennarello indelebile al confine ceco e macedone. I bambini che vengono allontanati con i gas lacrimogeni, nonostante abbiano già pianto tanto durante le loro giovani vite. Sono fotogrammi che popolano le pagine dei giornali, i social media, che animano il dibattito di oggi. E’ la sofferenza silenziosa dei tanti piccoli e dei loro genitori che ogni giorno incontriamo sul campo, nelle aree di crisi”.
“Immagini di inaccettabili violazioni dei più elementari diritti dei bambini che riflettono l’inadeguatezza e il fallimento degli interventi sino ad oggi messi in atto per rispondere ad una crisi umanitaria di così grandi dimensioni. È questa la risposta che l’Europa è riuscita a dare a chi fugge da guerre, violenza e fame, una risposta tardiva ed inadeguata. Immagini che sono lo specchio della nostra coscienza”. Save the children chiede con forza una risposta politica strutturale e rilancia l’hashtag #whyagain.