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“Roma capoccia der monno infame”. E della mafia?

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Per Antonello Venditti la Capitale, anche se criticabilissima, la si può solo amare, come cantava quasi 50 anni fa. Ma quale Roma “capoccia” viviamo oggi? Ma quale Roma: quella che attira i turisti da tutto il “mondo infame”, oppure l’inquietante “Mafia Capitale”, radiografata dall’inchiesta giudiziaria della Procura di Piazzale Clodio?

Da quando sono sbarcati nel “porto delle nebbie” (come veniva nei decenni passati definito il palazzo di giustizia) il capo della Procura Giuseppe Pignatone e il suo braccio destro Michele Prestipino, l’aria è cambiata. E d’un tratto si è disvelata la ragnatela di intrecci affaristici, politici e criminali. E’ come se per decenni le forze dell’ordine abbiano dormito o si siano assoggettate ad una sorta di “quieto convivere”, dopo il periodo tragico del terrorismo e l’altro sanguinario segnato dalle gesta della Banda della Magliana.

Roma così, oggi, risulta la frontiera avanzata delle varie mafie che controllano il territorio dalla Sicilia risalendo lo stivale per la Calabria, la Puglia, la Campania, il Molise. I tentacoli della Piovra sul hanno fatturato un ammontare di dirty money, stimato nel 2014 da Bankitalia e da Unimpresa, attorno al 10-11 % del PIL nazionale: ovvero tra i 170 e i 180 miliardi di euro l’anno, con ricavi che sfiorano i 100 miliardi.

Ed è proprio questa enorme disponibilità di danaro sporco “l’arma fine del mondo”, che le mafie possono gestire per determinare successi economici e politici di quanti entrano sotto il loro controllo. Più che usare Glock, Kalashnikov AK47 e bombe (che comunque non sono state messe in disparte), le mafie sanno come utilizzare le leve della finanza e del ricatto politico (non solo usura, pizzo ed estorsione). In un periodo in cui la maggioranza dell’opinione pubblica non ha più fiducia nella classe politica e quindi si esprime astenendosi dal voto, il controllo sul territorio delle famiglie mafiose, specie negli immensi quartieri della periferia romana, è fondamentale per partiti e candidati. Le mafie possono spostare migliaia di voti e preferenze e, in virtù del fatto che meno votanti significa più probabilità di essere eletti, ecco che si alternano fortune e sfortune politiche.

Se poi alla “Piovra” tentacolare classica si aggiungono le “famiglie” di ex-zingari, come i Casamonica e parentela allargata, insieme ad altre che al riparo di rapporti di facciata controllano il commercio al minuto e ambulante, diverse associazioni di categoria, fino ad arrivare nell’aula di Giulio Cesare con esponenti a loro collegati, ecco allora che la miscela esplosiva deve più che preoccuparci. Non solo l’opinione pubblica, ma anche le istituzioni a vario livello. E quest’ultime, purtroppo, come l’inchiesta “Mafia Capitale” ha evidenziato, sono risultate assenti se non a volte complici.

E quali sono i rapporti tra queste organizzazioni locali e nazionali con le mafie cinesi e russe, che da oltre un decennio si stanno comprando a suon di minacce e/o con soldi contanti e in nero appartamenti, locali, licenze commerciali, senza che mai nessuna autorità comunale o di polizia abbia mosso un dito per indagare su questo traffico al limite dell’illegalità? Ci sono intere zone della città ormai in mano a famiglie di commercianti cinesi, del Bangladesh e dell’Est Europa ex-sovietica: esercizi che espongono la stessa mercanzia, gli stessi prezzi e usano personale extracomunitario a salari bassissimi. Nessuno che abbia mai fatto ispezioni sui contratti di lavoro, sul livello di igiene e conservazione, sulla filiera delle merci, sull’osservanza delle regole fiscali.

Da qualche decennio la camorra si è impadronita del litorale Sud laziale, confinante alla Campania, prima mèta di vacanze dorate, poi terra di conquista per speculazioni edilizie, pizzo, attività agroalimentari (l’ortofrutticolo e la trasformazione della filiera casearia, specie quella della bufala) e, infine, il controllo politico di interi comuni. Sembrava si fosse fermata lungo il mare nella provincia di Latina, ma poi i tentacoli si sono allargati verso il litorale di Roma, da Ardea ad Ostia (ora il comune, sinonimo storicamente del “mare di Roma”, è stato persino sciolto!), per arrivare sulle spiagge più frequentate dal turismo locale più abbiente, come Fregene, Maccarese, Ladispoli, Cerveteri. E forse ha già raggiunto anche le esclusive Santa Severa e Santa Marinella, per poi estendersi verso i lidi a Nord di Civitavecchia. E nessuna giunta regionale, presieduta alternativamente da esponenti di sinistra e destra, ha mai cercato di stroncare questo fenomeno.

E’ grazie al lavoro d’inchiesta di coraggiosi e isolati giovani reporter locali (spesso minacciati di morte o licenziati perché oggetti di esose querele) che da qualche tempo si è venuti a conoscenza della vasta rete affaristico-politica, che le mafie hanno steso sul Lazio. Spesso inascoltati o sottovalutati, derisi e tiranneggiati, solo alcuni movimenti di opinione (come Libera di don Ciotti e Articolo21) li hanno “illuminati”, perché nei loro confronti ci fosse una sorta di “tutela democratica” da parte dell’opinione pubblica. L’arrivo di Pignatone e Prestipino nel 2012 alla Procura di Roma ha dato loro ragione. E quando, nell’isolamento e nella diffidenza dei politici locali e nazionali, da destra a sinistra, le loro indagini hanno scoperchiato la ragnatela della “Terra di mezzo”, allora si è gridato allo scandalo, alla costernazione, cercando molto spesso di negare il collateralismo, le conoscenze decennali, i finanziamenti per le campagne elettorali.

Ormai il veleno mafioso si è come mitridatizzato nel tessuto sociale e lavorativo di questa città, che vive soprattutto sugli appalti e l’edilizia il turismo, il commercio al dettaglio e il pubblico impiego locale e ministeriale.

Ma ancora una volta, la risposta politica al più alto livello è stata quella di “sopire, troncare, silenziare”. Sui funerali alla “Padrino” dei Casamonica le massime autorità di polizia non hanno fatto cadere nessuna testa (“la catena gerarchica dell’informazione non ha funzionato”!). Sulle infiltrazioni mafiose nell’amministrazione della Capitale, ci si è concentrati solo sul X Municipio di Ostia. Per il resto, il Campidoglio è stato svuotato di prerogative (specie per il prossimo Giubileo e le opere pubbliche), mentre alti dirigenti del Comune sono stati spostati dai loro incaricai apicali su richiesta della magistratura.

Eppure, una strada, per far vedere che lo spirito antimafioso è vivo e alberga nell’opinione pubblica democratica e tra i cittadini onesti, c’era: il comune di Roma andava sciolto, già dalla prima indagine su “Mafia Capitale”, aldilà di qualsiasi opportunistica visione elettorale. Prima ancora che scattasse la campagna mediatica internazionale sui “mali di Roma”. Il fango non si pulisce con i fazzolettini di carta! Sono passati oltre 20 anni dal sacrifico di Falcone e Borsellino, ma quanto sembrano lontani i giorni che segnarono una risposta alta e dignitosa dello Stato contro la Piovra!


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