di Castalda Musacchio*
Le prove più dure per rispondere all’emergenza del cambiamento climatico? Le dovranno superare le megalopoli asiatiche. La classe media, ormai, consuma merci come mai pima d’ora e agli stessi livelli dell’Occidente. Un nuovo rapporto pubblicato dal programma di sviluppo dell’Onu ha puntato il dito contro questo sviluppo insostenibile. In particolare, per Jakarta, il rapporto lancia l’allarme: “Le città asiaiche non possono più permettersi di crescere in questo modo e pensare solo in seguito di attuare uno ‘sviluppo sostenibile'”. In definitiva quello che si chiede è un cambio di rotta politico, immediato. Anche perché se il consumo è in forte crescita nell’area asiatica, lo è solo per alcune classi, inevitabilmente determinando disuguaglianze sempre più gravi in Paesi dove già esistono. I dati lo confermano: il 10% delle persone in Asia – riferisce anche il “Dispatchwww.nowforce.com” – soffrono di “sottoconsumo cronico”, il che vuol dire che a mala pena sopravvivono, e un quarto non ha ancora l’energia elettrica. Ed anche in questo modo, comunque, quest’area – riferisce ancora il rapporto dell’Onu – utilizza l’80% di carbone per la produzione industriale. E la popolazione cresce a ritmi sostenuti, muovendosi sempre di più verso le città. Si stima che, entro il 2026, più della metà della popolazione dell’Asia e del Pacifico vivrà in una grande città che, attualmente, occupano solo il 2% del territorio asiatico ma contribuiscono per più di due terzi ai gas serra, in particolare a causa dei trasporti e dell’elettricità. L’esempio di una megalopoli come Jakarta è illuminante. Jakarta ha 130 centri commerciali, più di ogni altra città del pianeta. La sua mancanza di un sistema affidabile di mezzi pubblici significa un aumento di auto e moto di proprietà del 20-30% l’anno, e qeusto non fa altro che aumentare in modo pressoché esponenziale l’inquinamento atmosferico che “costa” al Governo più di quanto spende per il settore della salute e dell’istruzione insieme. Più della metà della crescita economica del paese è alimentato dalla spesa dei consumatori, che accelerano in modo vertiginoso anche le emissioni di gas serra. I dati sono scientificamente provati: l’aumento della ricchezza comporta la crescita di consumi di carne, di prodotti lattiero-caseari, il desiderio di avere un condizionatore o quello di comprare una macchina o una moto. Il che determina come diretta conseguenza anche la crescita di rifiuti di imballaggio che, nei paesi asiatici, vengono ancora bruciati o, peggio, gettati nei corsi d’acqua. Il mondo ricco emette più di 12 tonnellate di anidride carbonica all’anno, rispetto alle 0,28 tonnellate delle persone più povere del pianeta. Nonostante la crescita della ricchezza in Indonesia, il potenziale per una maggiore crescita è enorme. Eppure solo l’11 per cento della popolazione vive nelle città, e nelle aree rurali solo il 3,4 per cento possiede un’auto. Inoltre il rapporto fa notare, e non è cosa da poco, che metà delle megalopoli del mondo sono in Asia e quasi tutte si trovano in zone costiere basse. Questo significa che non sono solo i motori del cambiamento climatico futuro, ma anche le vittime più probabili delle conseguenze del cambiamento del clima. ”In Asia gli effetti del cambiamento climatico si stanno già vedendo più che altrove, e questo non è un caso”, sostiene ancora il rappresentante dell’Onu Chibber. E’ difficile parlare di cambiamento climatico a popolazioni povere. Eppure, a livello nazionale, pare ci sia ancora un po’ di spazio per l’ottimismo. ”Fino a cinque anni fa, molti paesi asiatici erano del parere che il cambiamento climatico era un problema solo del mondo sviluppato. Ora, fortunatamente, c’è sempre più una crescente e nuova consapevolezza, almeno tra i leader asiatici, che il problema riguarda sostanzialmente tutti”. Il che, anche se ancora troppo poco. è almeno confortante.
http://www.dailygreen.it/focuss/2498-sfida-cambamento-clima-asia.html