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Attacchi alla libertà di informazione e guerra ai curdi: il progetto presidenzialista di Erdogan

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La storia della libertà di informazione in Turchia è una storia triste e al contempo lunga. Una storia che dura da troppo tempo e che in Europa, come in buona parte della stessa Turchia, continua a scandalizzare. Ma soprattutto a mietere vittime in termini di giornalisti arrestati: decine quelli sotto processo, tutti per aver fondamentalmente violato l’integrità dello Stato turco.

Ripercorrere la situazione della libertà di informazione in Turchia non significa andare troppo il là nel tempo: anzi in meno di un anno questi i fatti, gravi, che testimoniano la pesante situazione:

14 dicembre 2014: “la polizia ha fatto irruzione, a Istanbul e in altre zone del Paese, in media controllati da Fetullah Gulen, filosofo islamico e a capo di una corrente della destra islamica turca contrapposta a quella guidata dal presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan. Il bilancio, fino a questo momento, è di almeno 23 giornalisti arrestati. Sulla lista ce ne sarebbero altre decine”. Così scriveva La Stampa. Nello stesso giorno veniva arrestato anche il vero bersaglio del raid, Ekrem Dumanli, il direttore del quotidiano Zaman, di propreità di Gulen, uno dei giornali più letti nel Paese.

12 gennaio 2015: il Parlamento europeo presenta una proposta di risoluzione sulla libertà di espressione in Turchia esprimendo “la propria profonda preoccupazione per gli arresti di giornalisti e operatori mediatici; ritiene che tali azioni rappresentino una regressione inaccettabile per la libertà dei media nel paese; esprime preoccupazione per l’elevato numero di giornalisti in carcere e i numerosi processi in corso contro giornalisti e attivisti dei media sociali”.

14 gennaio 2015: un altro raid, questa volta all’interno del quotidiano Cumhuriyet che aveva pubblicato una selezione delle vignette del giornale satirico francese Charlie Hebdo. La pubblicazione viene bloccata ma soprattutto, pochi giorni dopo parte un’indagine penale, avviata nei confronti del quotidiano “che avrà un effetto raggelante sul giornalismo e la libertà d’espressione”, dichiarava Amnesty International.

3 aprile 2015: il giornale turco Hürriyet Daily News denunciava che in questa data “alcuni quotidiani filogovernativi avevano attaccato Aydın Doğan, presidente onorario del Doğan Media Group, accusandolo di essere legato ai terroristi. Per anni Doğan è stato nella lista di possibili bersagli del terrorismo” (Internazionale 1097, 10 aprile 2015).

2 giugno 2015: il Presidente della Turchia Erdogan, attraverso i suoi avvocati, chiede che il direttore del “giornale di opposizione Cumhuriyet, sia condannato all’ergastolo per spionaggio. Il quotidiano, schierato su posizioni antigovernative, aveva pubblicato un video del 19 gennaio 2014 che mostrava mezzi dei servizi segreti turchi impegnati nel trasporto di armi destinate ai jihadisti in Siria. Dündar dovrà rispondere dell’accusa di spionaggio, di crimini contro il governo e di aver diffuso informazioni pericolose per la sicurezza nazionale”. Decine di giornalisti si schierano in difesa del direttore: la prima pagina del giornale Cumhuriyet è riempita di foto di decine di personalità turche solidali e il titolo: “Io sono responsabile”.

L’internazionale commentava la notizia contestualizzando l’attacco da parte di Erdogan: mancavano pochi giorni alle elezioni in Turchia (7 giugno) e i sondaggi davano il Presidente in discesa rispetto al passato, sebbene sempre in maggioranza. Infatti il Partito della giustizia e dello sviluppo guidato da Erdogan, l’Akp, perde la maggioranza in parlamento, mentre il Partito democratico del popolo (Hdp, filocurdo) riesce a superare l’antidemocratica soglia di sbarramento del 10 per cento.

Forse non è un caso che poco prima delle elezioni il Presidente turco attaccasse così duramente il direttore di un giornale che con la notizia delle armi destinate ai jihadisti aveva messo in cattiva luce il governo. La libertà di espressione in Turchia è sottoposta a duri attacchi perché il problema alla base riguarda la democrazia, minata a sua volta dal progetto presidenzialista di Erdogan.

10 agosto 2015: Allo stesso modo, “la sua guerra all’Isis” scrive Alberto Negri sul Sole 24ORE , “si sta risolvendo prima di tutto in una guerra ai curdi, fino a ieri applauditi come l’eroica fanteria anti-Isis”. All’indomani dell’uccisione di quattro poliziotti turchi attribuita ai curdi del Pkk, la Turchia di Erdogan “teme più del diavolo jihadista la possibilità che i curdi costituiscano uno stato ai suoi confini. L’obiettivo di Erdogan è chiaro. […] Vendicarsi della sconfitta elettorale di giugno facendo fuori il partito filo-curdo Hdp dal Parlamento, che si oppone a ogni progetto presidenzialista del leader turco”.

Forse non è un caso che Erdogan voglia “fare fuori” i giornalisti tanto quanto i partiti d’opposizione, entrambi alla base di un Paese che si possa definire democratico.


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