Delle vicende che riguardano la ricostruzione dell’Aquila, ormai, sulla stampa nazionale arriva qualche sbiadita eco solo quando la magistratura, di tanto in tanto, svela un po’ del marcio che si annida nei cantieri del centro storico del capoluogo abruzzese e negli uffici di assessori e consiglieri vari. Nei giorni scorsi, due nuove inchieste hanno attirato l’attenzione di quotidiani e telegiornali: una, Redde rationem, riguarda in particolare un penoso traffico di tangenti legato agli appalti per i puntellamenti dei palazzi pericolanti; l’altra, Social dumping, lo sfruttamento della manodopera praticato da alcuni figuri che procacciavano manovali a basso costo e riciclavano i proventi illecitamente ricavati. Scandalo e indignazione, ovviamente, da parte di tutti.
Peccato che assai meno attenzione abbiano richiamato, e continuino a richiamare, certe ambigue macchinazioni romane che hanno visto protagonisti, tra gli altri, importanti esponenti del governo Renzi. La scorsa settimana è stato approvato il Decreto enti locali, che contiene (all’articolo 11) alcune novità riguardanti le norme sulla ricostruzione dell’Aquila. Una delle richieste che era arrivata, in maniera piuttosto trasversale, dalle forze politiche aquilane consisteva nell’introduzione di una white list per le imprese che partecipavano alle gare d’appalto per i tanti cantieri del centro storico e delle frazioni periferiche, con l’obiettivo di rendere più efficaci i controlli contro le infiltrazioni criminali. Peccato che la proposta sia stata rigettata dal Ministero degli Interni, secondo il quale una simile procedura rischierebbe di sovraccaricare di lavoro le prefetture italiane.
Ma ancora di più dispiace che ad accogliere una decisione così clamorosa ci sia stato il silenzio pressoché totale di partiti e organi di stampa. Solo il Movimento 5 Stelle, con un duro post pubblicato sul blog di Beppe Grillo, ha denunciato l’assurdità del provvedimento. Ed è stato a questo punto che è intervenuta anche la senatrice aquilana Stefania Pezzopane, nota alle cronache, ultimamente, soprattutto per le sue comparsate nel salotto di Barbara D’Urso su un tema assai caro agli Aquilani: le palpitazioni amorose della senatrice medesima per il suo nuovo compagno, l’ex spogliarellista Simone Coccia Colaiuta. La Pezzopane, però, non è intervenuta per condannare la decisione del governo, ma per ribattere alle accuse di Grillo e rivendicare i meriti dell’emendamento da lei presentato. In base alla modifica avanzata dalla Pezzopane, alle imprese che lavoreranno in quello che viene definito «il più grande cantiere edile d’Europa» basterà infatti presentare una autocertificazione antimafia. E questo, alla senatrice Pezzopane, alla delegata alla ricostruzione del governo Paola De Micheli e allo stesso Matteo Renzi, deve sembrare evidentemente sufficiente a garantire la legalità e la trasparenza nei processi della ricostruzione.
Il tutto ha un che di surreale, soprattutto se si considera che la senatrice Pezzopane è esponente di quello stesso PD di cui fa parte anche il sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente. Il quale, nei giorni scorsi, ha ribadito la necessità dell’introduzione della white list e ha biasimato la decisione del governo. D’altronde, il rapporto tra Cialente da un lato, e Matteo Renzi e i dirigenti del PD dall’altro, è a dir poco logoro. Il premier non ha ancora fatto visita al capoluogo terremotato, e il primo cittadino aquilano non è stato neppure invitato, nel giugno scorso, all’Assemblea Regionale del suo partito, nella seduta in cui si nominava la nuova direzione abruzzese.
Manovre di bassa politica, si dirà. Ma è anche da queste che passa la sempre più problematica ricostruzione di una città che sembra ancora condannata ad un destino di precarietà e decadenza. «Una zona rossa ovunque si trovi è una questione nazionale», sta scritto su un arazzo che campeggia in Piazza Duomo. Ma camminando per i vicoli del centro, a oltre sei anni dal 6 aprile 2009, si capisce che in realtà non è così.