Di Pino Salerno
Quella che il Rapporto Svimez 2015 ci consegna è una fotografia sconcertante e allarmante dello stato di salute, o se si vuole, del grande malessere sociale ed economico del nostro Mezzogiorno, duramente colpito dalla crisi e dai processi di smantellamento industriale. La situazione è talmente vicina alla catastrofe e ad un punto di non ritorno che vi è da subito la necessità di ripensare, rielaborare, riarticolare quella che Antonio Gramsci, con felice intuizione, aveva definito “la quistione meridionale”, come grande questione nazionale, ed europea. D’ora in avanti, la sfida di ogni governo del Paese non può che partire dalle condizioni drammatiche del Mezzogiorno, e produrre ipotesi di sviluppo mettendo in campo tutte le risorse pubbliche disponibili per progetti che abbiano un valore strategico e un futuro.
I tre dati da cui occorre partire per riflettere
Sono, in sintesi, tre i dati che lo Svimez ci presenta e che rappresentano plasticamente il presente del Mezzogiorno. Il dato è relativo al 2014: la crescita dei posti di lavoro ha interessato solamente il Centro-nord, con 133mila unità in più, mentre il Sud risulta ancora una volta penalizzato con una perdita di 45mila unità. Quando il governo si vanta dei numeri relativi alla crescita degli occupati, forse dovrebbe anche segnalare questa verità sui cosiddetti saldi occupazionali, o se volete, dovrebbe comporre una banale somma algebrica, che però acquista un enorme rilievo politico. Non basta insomma dire che si cresce di 88mila unità, se poi la verità è che un intero sistema produttivo si sta spostando da Sud a Nord, lasciando a Sud migliaia di famiglie in condizioni di marginalità sociale. E non basta neppure esaltarsi per i dati dei primi due trimestri del 2015, come fanno alcune agenzie governative, con 47mila apparenti nuovi assunti, solo perché al Sud ci si muove attraverso il Jobs Act, che concede alle imprese una significativa decontribuzione, un grosso risparmio. Non è altro che emersione di lavoro nero. Non è il segnale di una ripresa produttiva. Il secondo dato è altrettanto drammatico e fa riferimento alla tendenza progressiva tra il 2008 e il 2014 dei licenziamenti: su 811 mila unità, 576 mila risiedono al Sud. La sproporzione è del tutto evidente. Infine, i dati relativi al genere e alle generazioni. E qui siamo davvero alla tragedia: solo una donna tra i 15 e i 34 anni su cinque risulta occupata al Sud, mentre complessivamente il tasso di disoccupazione giovanile supera abbondantemente, ormai, il 50%. Il Sud è sostanzialmente ritornato alle prassi occupazionali di un secolo di fa: nelle campagne abbondano i caporali e le chiamate alla giornata, ovviamente con paga al nero, che sono le forme del nuovo schiavismo; è tornata la migrazione necessitata, obbligata, di decine di migliaia di giovani meridionali verso il nord, e verso l’Europa; si è allargata all’inverosimile la frattura tra poveri e ricchi, con questi ultimi che diventano sempre più ricchi e potenti.
Le reazioni: assente il governo, parlano i sindacati e le minoranze politiche
Ci saremmo attesi reazioni decise, determinate da parte del governo, le abbiamo cercate, ma non le abbiamo trovate. Forse ci sono sfuggite. Eppure, i dati sono peggiori di una scossa elettrica da migliaia di volts. Insomma, non pare proprio che il meridionalismo sia una cifra impegnativa per il governo Renzi. Abbiamo invece rilevato importanti dichiarazioni da parte di personalità del mondo politico e sindacale, esterni all’area di governo. Il segretario della Uil, Carmelo Barbagallo ha voluto fare una battuta, che nella sua semplicità, esprime tuttavia l’angoscia del popolo meridionale: “il sud era la Magna Grecia, ora è tristemente metà della Grecia”. Il senso è chiaro. Da parte sua, la Cgil, con Gianna Fracassi della segreteria nazionale, rileva la drammaticità della questione meridionale e rilancia “a settembre una vertenza nazionale”. E denuncia l’inerzia del governo Renzi. “Laboratorio Sud – idee per il Paese” si chiamerà la vertenza nazionale che la Cgil lancerà dunque a partire da settembre. L’appuntamento è per il 6 settembre a Potenza, capoluogo della Basilicata, che pure aveva vissuto tassi di crescita importanti solo venti anni fa, ed ora soffre, come tutte le regioni meridionali il contraccolpo della crisi. Alla prima iniziativa di Potenza parteciperà il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. Ma sono tutte le strutture territoriali della Cgil a far sentire forte la propria voce, dalla Campania alla Sicilia alla Puglia, alla Calabria, non solo smascherando l’assenza di politiche attive per il Mezzogiorno da parte del governo Renzi, ma anche denunciando le condizioni di lavoro vicine al moderno schiavismo che lo smantellamento delle attività produttive ha lasciato in eredità.
Si fanno sentire anche due leader della minoranza interna del Pd, Gianni Cuperlo e Roberto Speranza, i quali rivolgono tre domande a Renzi, Padoan e Delrio, sulla assenza, nei fatti, di politiche per il Mezzogiorno, che contrasta con gli indirizzi programmatici. Il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, ha detto con estrema chiarezza, presentando le variazioni al bilancio della città, che da parte del governo “c’è irresponsabilità politica, verso Napoli, verso il Sud, e verso l’Italia”. Il presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi legge l’allarme lanciato dal Rapporto Svimez come una prova ulteriore della prossima, vicina, aggressione del territorio meridionale da parte di tutte le mafie.
Il commento più inverosimile? Di un parlamentare di Scelta Civica
Infine, curiosa, e davvero sbalorditiva, per non dire cialtronesca, la dichiarazione di un esponente di Scelta Civica, tale Librandi, per il quale il Sud si salva solo “con una rivoluzione imprenditoriale, con un’alleanza tra politica, imprenditori e lavoratori. Il resto sono fantasie alla Varoufakis”. Vorremmo, molto sommessamente, ricordare a codesto parlamentare che lo Stato ha elargito miliardi di euro a fondo perduto alle imprese, a cominciare dalla ex Fiat, che così ha potuto impiantare le fabbriche di Melfi, in Basilicata, di Termini Imerese, in Sicilia, di Cassino, nel Lazio, e di Pratola Serra, in Campania. Farebbe bene a fare qualche piccola ricerca sulle condizioni attuali di questi centri industriali, imparerebbe davvero cosa sono le imprese nazionali, e perché investono al Sud, con i soldi pubblici.