Decisivo il voto, politico, dei senatori del Pd
Di Pino Salerno
Un altro colpo alla legalità e alla eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge è stato inferto mercoledì mattina nell’Aula del Senato, quando 189 senatori hanno rigettato la richiesta di arresti domiciliari disposta dalla Magistratura di Trani nei confronti del senatore Azzollini, pugliese di Molfetta, di professione avvocato. Il voto che ha respinto gli arresti domiciliari ribalta la decisione assunta in seno alla Giunta per le immunità, la Commissione chiamata a stabilire se vi è il cosiddetto “fumus persecutionis” nei confronti di un parlamentare, per tutelarlo di fronte ad eventuali abusi giudiziari, come prescrive la Costituzione. Se la Giunta per le immunità ha dato un’interpretazione favorevole alle richieste della Magistratura di Trani, dopo aver vagliato con attenzione il dossier, il rovesciamento della sua decisione in Aula assume un chiaro valore politico. Azzollini, ex Forza Italia, ora passato nelle fila del Nuovo Centro destra di Alfano, è accusato di numerosi e gravi reati, compiuti, secondo la Procura pugliese, al di fuori delle sue funzioni di parlamentare. La vicenda è quella di un noto nosocomio privato pugliese, la Casa della Divina Provvidenza, specializzato nelle cure ai malati psichiatrici. L’ospedale, di proprietà vaticana e lautamente sovvenzionato dallo stato, ha subito un vero e proprio crack finanziario. L’inchiesta sul crack ha indotto la Magistratura inquirente di Trani a spiccare 11 ordini di cattura, tra i quali quello contro Azzollini e due suore. Le accuse formulate contro gli indagati sono pesantissime: spreco di denaro pubblico, assunzioni clientelari, falso in bilancio, e soprattutto denaro sottratto alla cura dei pazienti. Il buco finanziario ammonta a 500 milioni di euro. Va aggiunto che la richiesta di arresto per gli indagati è stata confermata, ovviamente, dal Gip di Trani, e che il Tribunale del Riesame di Bari aveva respinto la richiesta di revoca degli arresti domiciliari presentata dai legali di Azzollini.
Se protagonista di questa vicenda fosse stato un uomo comune, un non parlamentare, (gli arresti sono scattati perfino per due suore), sarebbe scattato il provvedimento disposto da Procura e Gip. Poiché si tratta di un parlamentare, era giusto controllare il dossier. Ma una volta controllato il dossier, si è stabilito che non vi era fumus persecutionis né accanimento giudiziario, e la Giunta ha votato a favore della richiesta dei magistrati. Il voto in Aula è stato invece segnato dalla cosiddetta “libertà di coscienza” che Luigi Zanda ha consigliato ai senatori del Pd, artefici del misfatto. Per questo possiamo certamente parlare di una scelta politica e non fondata sulla storia giudiziaria di Azzollini. La giustizia e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge è stata sacrificata in nome di un ricatto politico, evidentemente fatto pesare da Alfano nei confronti di Renzi. La sensazione che questa vicenda darà all’opinione pubblica è che ancora una volta “la casta” ha voluto salvare uno dei suoi membri da regole e disposizioni giudiziarie che valgono invece per tutti gli altri. E non tiriamo in ballo il “giustizialismo”, non c’entra nulla. I fatti contano: la Giunta del Senato legge il dossier e stabilisce che si può essere favorevoli alla richiesta della Magistratura (lo stesso Matteo Orfini, presidente del Pd, due mesi fa, aveva caldeggiato una posizione favorevole alla Magistratura di Trani). L’Aula tradisce questi convincimenti e vota in base a considerazioni di opportunità politica. È il caso che il segretario del Pd se ne assuma la responsabilità con chiarezza, e senza invenzioni retoriche. Ne va della credibilità delle Istituzioni e della politica.