Abbiamo smesso di contare i morti, troppi. Il dramma della guerra in Siria continua. Dopo più di 4 anni sono oltre 12 milioni le persone colpite dal conflitto solo all’interno dei confini nazionali, di queste 5,6 milioni sono bambini. Le ostilità e la nascita dell’autoproclamato “Stati Islamico” (Isis) hanno fatto sprofondare il paese in una delle più gravi crisi umanitarie mondiali. La zona di Yarmuk e città come Aleppo, Homs esono lo specchio di questo disatro.
Chiuse o rase al suolo, piegate da cumuli di macerie e dalla fame. Nonostante il mondo se ne dimentichi il clima di violenza in Siria aumenta giorno dopo giorno, gli attacchi verso la popolazione sono costanti e quotidiani. Molti siriani sono stati costretti ad abbandonare le proprie case per cercare riparo e salvezza oltre i confini. Così sono cominciate le migrazioni di massa verso il Libano, la Giordania, l’Iraq, l’Egitto e la Turchia che oggi ospitano un numero di persone la cui somma è pari a quella di una grande metropoli mondiale. 4 milioni di siriani a fuggire dal proprio paese, la metà sono bambini, un numero che negli anni è aumentato di 8 volte dall’inizio del conflitto. Quello che più spaventa, però, è che circa 8mila minori hanno dovuto compiere questo viaggio, spingendosi oltre i confini nazionali, completamente soli.
Alcuni di loro, che ho visto e conosciuto durante i miei viaggi nei campi profughi di Za’atari Azraq, Dohuk, Kawergosk o della valle di Bekaa sono nati come rifugiati mentre altri, prima di arrivare lì, hanno dovuto imparare a riconoscere l’odore della guerra e hanno subito traumi psicologici che nessuno potrà più cancellare. Se pensiamo che in Siria oltre 200mila persone vivono sotto assedio ogni giorno e che in Iraq 1milione di bambini si trovano in aree controllare dai gruppi armati, ci rendiamo conto della portata di questa emergenza.
Anche nei campi profughi siriani la vita dei bambini è perennemente a rischio. Dalla malnutrizione alle malattie, dallo sfruttamento sessuale ai matrimoni precoci, la lista delle minacce è lunga. Molti adolescenti cominciano a lavorare sin dall’età infantile, 7-8 anni, mentre altri scompaiono senza lasciare alcuna traccia, trascinati nel grande giro del traffico di minori.
A sparire poi ci sono anche coloro che portano dialogo e aiuti alle popolazioni, oppure finiscono nel mirino dei miliziani delle forze armate per documentare questa tragedia. Sono trascorsi due anni dall’ultimo contatto inviato da Padre Paolo Dall’Oglio, tante le false notizie diffuse, difficile sapere con certezza quali siano le sorti del gesuita. Ma quel che è certo è che Padre Paolo deve tornare. Deve tornare perché abbiamo bisogno di sentire la sua parola per dire basta a questa guerra, abbiamo bisogno di ascoltare il suo grido di pace nei confronti di un mondo che continua indifferente a veder morire e fuggire milioni di donne e bambini.