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L’informazione in Sicilia e il cammino del gambero

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“Seguiamo quello che dice la Costituzione e faremo una bella Italia”. Sono le parole di un grande giornalista, Santo Della Volpe. Lui oggi purtroppo non c’è più, ci è stato strappato da un male crudele. Ma resta il tema per il quale lui disse quella frase rispondendo nel gennaio dell’anno scorso a Trapani alle domande di un giovanissimo giornalista. Il tema era quello del rapporto tra mafia e politica, e come è possibile stroncare i cardini vitali che tengono vivo questa criminale alleanza.

Oggi accade che invece di pensare a combattere le mafie, in Parlamento si pensa a voler combattere la giustizia giusta e l’informazione. Legge bavaglio, intercettazioni, sono oggi gli argomenti che impegnano la politica o meglio “certa” politica. Il fine? La mafia e la corruzione non devono essere raccontati, men che meno processati. In Italia accade che alcune terminologie che fanno pensare al meglio, il “giusto processo”, il “processo breve”, sono finite col rappresentare il rinvio all’infinito delle sentenze definitive. Nelle periferie d’Italia accade che ciò che oggi si dicute a Roma, c’è già nei fatti senza bisogno di leggi. L’informazione in Sicilia per esempio. Non passa giorno che non faccia un passo indietro, come il camminare del gambero. Il bavaglio c’è da tempo e per essere applicato non ha avuto bisogno di norme e regole scritte. Provate a parlare con i cronisti di periferia, quelli delle provincie, se già non hanno avuto imposto il bavaglio qualche fatto potranno raccontarlo.

Venite in Sicilia a chiedere cosa accade. Vi potranno raccontare del lavoro spesso condotto senza una copertura contrattuale, senza contributi assistenziali e previdenziali, pagamenti in nero, collaborazioni che ai tempi della lira veniva retribuite con 5 mila lire al massimo per pezzo e che ai tempi nostri sono diventati 2 euro quando finisce bene. E per di più ecco il famoso Inpgi pronto a bussare alle loro porte, con tanta di notifica di cartelle esattoriali. I grandi giornali in Sicilia stanno abbandonano il campo, la cronaca è così destinata ad essere affidata a giornali e televisioni e tante vivono, impunemente, fuori dalle regole. Ci sono giornalisti che sono cresciuti convinti che è normale che un sindaco, un politico, possa telefonare e dettare il pezzo che deve uscire, sindaci e politici che nel tempo si sono convinti che non fa il proprio dovere il giornalista che invece non si comporta in questa maniera. Ci sono personaggi squallidi che non solo si inventano editori ma pretendono di fare anche i direttori responsabili delle testate, e ci sono direttori responsabili che questo consentono in cambio di compensi che sono solo regalie per il “buon comportamento”.

In Sicilia il bavaglio c’è ed ha avuto anche l’odore acre della polvere da sparo, il tanfo del sangue, l’olezzo della morte. Giornalisti finiti ammazzati dal solito potere cresciuto tra mafia, politica e poteri forti. Giornalisti che non volevano il bavaglio e che sono stati ammazzati, Spampinato, Fava, Francese, Rostagno, Impastato, Alfano, per fare alcuni nomi e davanti ai morti ammazzati ci sentivamo dire che la mafia non esisteva e oggi che la mafia è sommersa ci raccontano che è sconfitta e che preso l’ultimo dei latitanti, Matteo Messina Denaro, Cosa Nostra avrà smesso di esistere. Intanto però da queste parti chi dice che Messina Denaro deve esser presto e consegnato al carcere a vita si è visto bruciare la casa o si è visto portare da mani anonime buste con proiettili direttamente sul tavolo da lavoro. Qui se si scrive che Messina Denaro è circondato da una “cricca” di insospettabili e se alcuni di questi vengono arrestati, immediatamente scorre un fiume di incredulità, qui un senatore della Repubblica finito sotto inchiesta per mafia concede oggi più apparizioni pubbliche di quanto non ne concedeva prima, come a dire, sono qui, libero e potente, e la gente, contenta applaude. C’è chi prova a raccontare queste cose scrivendole sui giornali, c’è chi non ci prova affatto, c’è chi deve scrivere le cose a metà, e c’è chi è pronto a smentire ogni cosa del lavoro fatto dai giornalisti che cercano di mantenere la schiena dritta, anzi…questi giornalisti spesso vengono descritti come criminali. Oggi scrivere che un mafioso è un pezzo di merda, fa scattare la reazione dei parenti del mafioso codice penale alla mano.

L’informazione in Sicilia appare come un qualcosa che viene gestito in nome di una “navigazione a vista”, non ci sono progetti ma si procede a tentoni e a colpi di licenziamenti, è accaduto al Giornale di Sicilia, a Tgs, in casa de La Sicilia e nelle tv del gruppo Ciancio, Antenna Sicilia, Telecolor. Domenico Ciancio è l’erede annunciato di una grossa parte dell’informazione siciliana. Sta cercando di uscire dalla navigazione a vista ma nega che i guai giudiziari del padre siano oggi la causa di un pezzo di informazione che sta chiudendo: “Serve – dice – una evoluzione culturale quanto per gli editori quanto per i giornalisti”. Oggi La Sicilia festeggia i suoi 70 anni, Domenico assicura che lavora perchè per si possano festeggiare i 100 anni. “Oggi – dice – non siamo costretti a cambiare per colpa di una crisi, parlare di crisi è sbagliato, perchè se di crisi si tratta una volta superata si torna sempre a riprendere ciò che si è lasciato, oggi cambiamo perchè il sistema è cambiato, l’informazione è cambiata e mi rendo conto non sempre in meglio. L’informazione è oggi super veloce e spesso la notizia viene portata al lettore anche in forma anonima, penso ciò che scorre dentro la rete, è contro questo che bisogna impegnarsi a far meglio”. E però ci sono i licenziamenti, le redazioni che chiudono che sembrano raccontare un’altra storia, “fare tutto non è possibile” risponde Domenico Ciancio.

Le vodi dal di dentro raccontano anche altro. Raccontano di passioni che vengono messe a tacere, di giornalisti che abbandonano il campo o di giornalisti costretti ad elemosinare gli stipendi dovuti, di corrispondenti pagati per nulla. Accade a Tgs dove i corrispondenti oggi devono confenzionare i servizi da soli senza avere più tecnici a disposizione e che per un servizio a malapena riscuotono 10 euro. Nelle tv private siciliane invece regna l’anarchia completa, c’è il giornalismo anonimo che non fa capire all’ascoltatore quale è la notizia ma fa capire bene che l’informazione serve oggi da killer in una realtà dove le lupare non sparano più. L’informazione alza bandiera bianca. Oggi come non mai in Sicilia servirebbe una generale chiamata a raccolta, gli stati generali dell’informazione, per parlare ai siciliani ma anche per parlare a tutto il resto del Paese. Anche per l’informazione in Sicilia si adatta perfettamente un assurto di sciasciana memoria, ogni giorno per difendere la demoicrazia e la libertà in Italia bisogna combattere una battaglia in Sicilia. Ogni giorno per difendere l’articolo 21 in Italia è in Sicilia che bisogna sbracciarsi e darsi da fare. Ma resta poco tempo ancora, l’informazione siciliana sta per essere travolta dalla disinformazione. E al solito i massantissima saranno i primi a ringraziare!


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