Di Pino Salerno
Martedì 14 luglio è stato siglato lo storico accorto tra l’Iran e il gruppo dei sei Paesi occidentali, guidati dagli Stati Uniti, che hanno avuto mandato dalla comunità internazionale. La limitazione delle capacità nucleari dell’Iran dovrebbe avere come contropartita una rilevante riduzione nell’applicazione delle sanzioni internazionali su commercio del petrolio e finanza. L’accordo arriva dopo 20 mesi di negoziati, a lungo cercato dal presidente USA Obama come il più elevato successo della sua presidenza. Resta da vedere se questo accordo condurrà a nuove relazioni diplomatiche tra Iran e USA dopo decenni di vicende terribili segnate da atti di terrorismo, tentativi di colpo di stato, sanzioni. Nel discorso tenuto in mattinata alla Casa Bianca, trasmesso in diretta in Iran, il presidente Obama ha dato inizio a ciò che promette di essere l’ardua missione di presentare l’accordo al Congresso e al pubblico americano, sostenendo appunto che l’intesa co Teheran “non si fonda sulla fiducia, ma sulle verifiche”. Ed ha abbondantemente chiarito che avrebbe lottato per preservare l’intesa nella sua integrità, affermando che “metterò il veto su ogni legislazione contraria alla realizzazione di questo accordo”. Non tutti, però, hanno colto nell’accordo con l’Iran i segnali positivi colti da Obama. Il primo ministro israeliano, ovviamente, lo ha definito “errore storico”, che creerà alla fine “una superpotenza nucleare terrorista”.
Nei 18 giorni di negoziato proprio gli USA hanno lavorato per ridurre sempre di più la quantità di riserve nucleari che l’Iran può detenere nei suoi magazzini per i prossimi 15 anni. E si sono adoperati per limitare quanto possibile l’attuale riserva iraniana di uranio arricchito fino al 98 per cento. La misura, combinata con la limitazione dei due terzi del numero delle centrifughe nel centro nucleare iraniano d’eccellenza a Natanz, estende a un anno il limite di tempo concesso all’Iran per giungere al cosiddetto “breakout time”, ovvero il momento in cui l’Iran abbandona la fase dell’arricchimento dell’uranio e scatta il termine di 15 anni di divieto di acquisto di uranio o plutonio arricchito. Alla IAEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, spetterà il compito di vigilare in modo permanente se le clausole di controllo presenti in modo minuzioso nel testo dell’accordo sono state rispettate.
In realtà l’estensione a un anno, invece dei previsti 3 mesi, dell’entrata in vigore del breakout time è stata oggetto di una disputa decisiva col Congresso, e lo sarà ancora quando si avvierà il dibattito per il voto sulla intesa con l’Iran. Nei piani dell’Amministrazione Obama, la riduzione del 98% delle capacità nucleari militari iraniane richiederà del tempo, e impiegherà un declino graduale, di circa 15 anni. In ogni caso, fanno sapere alla Casa Bianca, un accordo è meglio di nessun accordo, e soprattutto di un Iran che come potenza regionale avrebbe potuto ancora rivestire un ruolo di primo piano nelle tensioni in Medio Oriente. Nella valutazione politica e strategica di Obama, l’intesa oggi serve enormemente a limitare i rischi di una guerra in quella regione, che potrebbe vedere l’impiego di armi nucleari.
A Teheran, molti esprimono la speranza di tempi migliori, dopo gli anni delle sanzioni che hanno gravemente colpito l’economia iraniana e il valore della moneta, il rial. Ciò ha determinato una fortissima inflazione e scarsità di cibo e medicinali. In una breve dichiarazione al paese, il presidente Rouhani, eletto nel 2013 proprio sull’impegno di ridurre o cancellare le sanzioni, ha detto: “le preghiere del popolo iraniano si sono avverate”. Secondo il presidente, si tratta di un buon accordo che il popolo iraniano sosterrà. Tuttavia, resta aperta la grande questione dell’embargo sulle armi convenzionali: sarà ridotto o cancellato anch’esso, e come peserà sull’assetto strategico della Regione mediorientale? Quali saranno le eventuali conseguenze di un riarmo convenzionale delle forze armate dell’Iran? Su questo punto, americani e occidentali devono fronteggiare non solo l’aperta ostilità di Israele all’accordo, ma anche le critiche dei Paesi arabi, di fazioni islamiche diverse da quella sunnita iraniana. Insomma, la partita è delicata e strategicamente ancora aperta.