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L’Islam non è e non deve essere sinonimo di violenza

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L’amalgama Daesh=Islam non va fatto per molte ragioni. Anche se i terribili attentati che insanguinano il mondo vengono rivendicati in nome di una crociata religiosa del cosiddetto IS, i temi in gioco sono ben più ampi. Oriente e occidente non sono due realtà separate, l’una contro l’altra, bensì intrecciate, l’una interna all’altra. L’Islam, ad esempio, ha innervato culturalmente quello che oggi chiamiamo Occidente, e continua ad essere presente in Europa attraverso gli immigrati, in larghissima parte integrati nelle nostre città. Si sbaglierebbe però a dare una lettura semplificata e falsamente ottimista del problema. La complessità del conflitto in corso, esasperato dalle guerre in Siria, in Iraq, in Libia e altrove,  nonché dagli interessi contrapposti di tanti Stati in gioco,  mostra una lotta interna all’Islam tra Sunniti e Sciiti, alimenta il malessere e il risentimento di tanti giovani musulmani e fa temere un ritorno al passato. La violenza primitiva degli attentati, diffusi con accorta regia mediatica in modo virale da Internet, mischia barbarie del passato e strategie on-line per incutere, appunto, terrore.

L’odio cresce con la paura e l’Europa ha bisogno di  una forte strategia politica, sociale e culturale per vincerlo. Lo ha cominciato a fare il Consiglio d’Europa creando un’Alleanza parlamentare tra i suoi 47 paesi membri per contrastare l’intolleranza e il razzismo. Oggi, una delle sue sfide più importanti è la radicalizzazione di parte dei giovani musulmani. Oltre ai foreign fighters sono tanti i “cani sciolti” che possono essere gradualmente arruolati divenendo pericolosi vicini di casa.

Molti musulmani, di fronte al fenomeno di ragazzi che tradiscono il sogno dell’integrazione dei genitori, si chiudono nel silenzio. Alcuni rifiutano di dissociarsi, sottolineando che non sono coinvolti con le azioni terroristiche solo perché commesse da persone della stessa fede. D’altronde, dicono, i cristiani sentirebbero il bisogno di dissociarsi da atti violenti commessi da correligionari?
Molti, ancora,  hanno cominciato a rielaborare i modelli di convivenza e cittadinanza  che abbiamo creato nelle società europee, sottolineando le responsabilità di tutti nel prevenire e contrastare l’odio. L’anti-islamismo cresciuto dopo l’11 settembre ha esacerbato i problemi; gruppi populisti e razzisti sfruttano l’amalgama Islam=violenza; dove c’è islamofobia aumenta il rischio di una risposta di odio; misure di sicurezza che diminuiscono le libertà democratiche fanno il gioco dell’aggressore. I giovani che scelgono il terrore non sono sempre emarginati o disagiati: tuttavia, non si può non considerare il ruolo giocato dall’esclusione sociale e dal senso di estraneità nelle loro traiettorie violente. Solo un dialogo serio e profondo tra le comunità, l’impegno della politica e delle istituzioni, strategie di integrazione rispettose e un’intelligenza nella formazione delle giovani generazioni e un maggiore senso di solidarietà verso tutti possono aiutarci uscire da questa spirale.

* Milena Santerini, deputata. Presidente Alleanza parlamentare contro intolleranza e razzismo del Consiglio d’Europa


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