Trasfigurato, ‘alterato’, ma non profanato nella sua essenza poetica il “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare diventa straripante tragicommedia in nella rilettura che Botho Strauss (nel 1983) offrì a Peter Stein per una memorabile messinscena che ebbe luogo a Berlino – ora ‘ripensata’, riallestita per una maratona scenico- attorarale (quasi cinque ore di spettacolo con due intervalli), prodotta dal Teatro di Roma. E approntata all’Argentina a per un ciclo di recite-collaudo propedeutiche alla ripresa autunnale della rappresentazione, il cui humus, i cui fondali lirici e ideologici vanno, a nostro parere, ascritti a quel particolare involucro da ‘cupio dissolvi’ iconoclasta, asfissia da “Germania in autunno” che è linfa di tanti autori tedeschi, protagonisti della vita culturale europea degli anni ottanta (Fassbinder, Hanke, Muller, Von Trotta, Wenders, Schlondorff e altri ancora).Latori di riflessioni socio-politiche, quindi esistenziali, rese plumbee (come l’icona di quegli anni) da una miscela di consunzione e trasgressione contigue ai ‘sensi di colpa’ e impotenza (all’utopia di palingenesi), inevitabili al solo guardare indietro (e al presente) di tante macerie, ulcerazioni, non-riconciliazioni post belliche diffuse in quella generazione radiografata senza remissione dal romanzo “I ragazzi dello zoo di Berlino”.
In che modo Strauss rimescola (scabramente) le carte? La vicenda originaria viene trasferita in un desolato parco giochi di periferia (che da titolo alla nuova opera, “Der Park”), dove si aggirano personaggi shakeaspiariani mescolati ad altri contemporanei, con preminenza di punk, clochard, prostitute, sbandati senza ritorno. “In un susseguirsi di trentasei cambi di scena su un palco con diciassette attori, si snoda la complessa e simbolica vicenda di Oberon e Titania, il re e la regina delle fate, insieme al folletto di fiducia (Puck)”- promessa mantenuta dal programma di sala. Di fatto, è tutto lo ‘sterile incantesimo’ del mito e del Bardo a tentare vanamente di ‘congiungersi’ agli umani, nella speranza di ricondurre questi ‘figli di un Dio minore’ alla riconquista di un’età dell’oro (prosperità, benessere, relazioni interpersonali) probabilmente mai esistita e certamente non più approntabile dinanzi alla miseria morale e materiale che sembra essersi impossessata del genere umano “all’indomani del grande diluvio e del sonno della ragione fattosi coma e catalessi” (cito me stesso). All’interno di un ‘recinto’ (con fili spinati?) che da luogo mitico diventa emblema di orrore, scelleratezza, sopraffazione del (momentaneamente) ‘più forte’. Sinchè –in questo gioco al massacro, muscolare e ‘in stato di natura’- il ruolo di leader- deduciamo- non passerà alle belve ed ai ‘tirannosauri’ di un già visitabile (al cinema) Jurassik Word. E conseguente scomparsa d’ogni presenza inerente la ‘fabula antica’ e la partecipazione umanoide.
Della perenne attualità dell’opera è Peter Stein (in conferenza stampa) a sintetizzarne l’essenza: dal degrado della sessualità a “pura merce o tracotanza fisica” ai rigurgiti di razi-nazismo nella nuova Europa delle Piccole Patrie; dalla perdita (per incuria) della memoria collettiva all’angoscia d’ogni idea di futuro e del ‘come saremo?’
Sul piano figurativo, “Der Park” si afferma piccolo capolavoro d’inventiva, fantasia, frugalità di mezzi, rimpiazzati dall’estro lunare ed estetico, simile ad un mosaico d’arte povera, che è cifra espressiva (non da adesso) di Stein e del suo ‘ensemble’. Dal giocoso naufragio d’un retrobottega circense (come non pensare a Fellini?) alle ultime frecce d’erotismo ‘autunnale’ della grande Maddalena Crippa; dall’origliare dei ‘desparados’ dal fogliame illuminato di piccole lampade al ciacolare brechtiano di ‘senza tetto e un po’ di cuore’ si imbandisce un ordito visivo di seduzioni e disincanto che troverà un suo angolo di privilegio nel ricordo d’ogni spettatore ‘avveduto e accorto’ al proprio ruolo. Interattivo rispetto alla sintonia, o meno, del più nobile rito teatrale: ‘non capire’ ma vibrare, corpo a corpo, con la mutevolezza della vita e dell’arte.
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“Der Park” (Il Parco). Di Botho Strauss (da Shakespeare). Traduzione di Roberto Menin. Regia di Peter Stein. Scene di Ferdinand Woegerbauer, costumi di Anna Maria Heinreich, musiche di Massimiliani Gagliardi, disegno luci di Joachim Barth. Con Maddalena Crippa, Paolo Graziosi, Graziano Piazza, Pia Lanciotti, Silvia Pernarella, Gianluigi Fogacci, Fabio Sartor, Andrea Nicolini, Mauro Avogadro, Martin Chishimba, Adriana Di Stefano, Laurenced Mazzoni, Michele Di Paola, Daniele Santisi, Alessandro Averone, Romeo Diana, Flòavio Scannella, Carlo Bellamio. Teatro Argentina di Roma (in ripresa autunnale)