Il piano B sull’immigrazione esiste già: tutte le proposte delle associazioni

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Dall’accoglienza locale al regolamento di Dublino, dalle missioni in mare alle ipotesi dell’Agenda Ue, ecco un “contropiano” basato su quanto le organizzazioni del non profit dicono da tempo (spesso inascoltate) per rispondere al muro contro muro dei paesi dell’Ue

ROMA –  Che la tensione sia a livello nazionale che europeo sul tema dell’immigrazione sia alle stelle ce lo dicono le parole del presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, che nei giorni scorsi ha minacciato l’adozione di un “piano B” per rispondere al muro contro muro messo in pratica dai paesi oltralpe. Ma chi da tempo chiede un cambio di rotta e propone un piano di scorta rispetto alle decisioni europee sono le associazioni e le organizzazioni nazionali e internazionali che all’Europa chiedono un impegno non più prorogabile. Dai regolamenti europei all’accoglienza, dall’agenda Ue sull’immigrazione agli ingressi legali, il mondo delle associazioni chiede a gran voce soluzioni, mentre l’Unione europea temporeggia sulla strada da prendere.

Primo, superare Dublino III
Per l’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) è la grande questione di questi mesi: superare un regolamento, spiega Gianfranco Schiavone, “ideologico e inefficace”, ma che volendo, qualora sia messo fuori discussione un suo accantonamento, offre piccoli spazi di azione per allargare le maglie degli ingressi. Possibilità ce ne sono, quindi, anche nel caso in cui a naufragare dovesse essere proprio l’agenda Ue, ma attenzione: tutto è lasciato all’assoluta discrezionalità degli stati. Per questo, spiega il documento dell’assemblea dell’Asgi, occorre “dare immediato avvio ad un serio processo di superamento del Regolamento di Dublino III, in quanto strumento profondamente iniquo nei confronti dei richiedenti asilo, oltre che totalmente inefficace a conseguire gli obiettivi di riequilibrio delle domande di asilo nella Ue”.
Tra le richieste avanzate dall’Asgi, soprattutto per quel che riguarda il ricollocamento e il reinsediamento, anche quella di “tenere conto in primis della volontà dei soggetti interessati”. Sul fronte dell’accoglienza interna, infine, l’Asgi chiede più coraggio alle istituzioni affinché si arrivi ad un potenziamento del sistema Sprar e ad una normativa che prevenga le possibili defezioni territoriali.

Arrivi legali e sicuri
Per la Caritas, oltre a rafforzare il sistema europeo di asilo, occorre permettere arrivi legali e sicuri attraverso la concessione di visti umanitari e rivedere il regolamento di Dublino. Secondo Manuela De Marco, dell’Ufficio immigrazione della Caritas italiana, ascoltata a margine del convegno Migramed in corso a Tunisi. “Siamo consapevoli che gli strumenti da adottare sono tanti ma da tempo chiediamo di sperimentare l’ampliamento di canali legali di accesso. Sul fronte interno, per esempio, l’Italia potrebbe utilizzare lo strumento del permesso di soggiorno temporaneo, come previsto dalla direttiva europea 55, già attuata dall’Italia con la legge 85 ma poco utilizzata. Questo è uno strumento utile a far fronte ad arrivi massici di persone e consente di non tenerle nell’irregolarità, soprattutto quando non si tratta di rifugiati”.
Sul fronte interno dell’accoglienza, invece, per la Caritas va trovata una collaborazione tra i territori perché “se tutti facessero la loro parte la gestione sarebbe più semplice – aggiunge – e oggi non parleremmo di strutture allo stremo”. Vanno poi snellite le procedure per il riconoscimento delle richieste d’asilo, in modo che si possa anche favorire il turn over nei centri di accoglienza.

Rete Sprar più estesa
A chiederlo è l’Anci, che suggerisce di cambiare registro anche nella comunicazione, non parlando più di emergenza ma “semplicemente di accoglienza”. Un cambio di rotta che serve, però, anche sui territori: su più di 8 mila comuni italiani, infatti, ad oggi solo 379 hanno aderito come capofila all’interno della rete Sprar. “Fino a quando la distribuzione degli stranieri sarà disomogenea sul territorio nazionale, fino a quando le Regioni non si faranno da tramite fra Governo e Comuni, continueremo a restare in emergenza – afferma Irma Melini, presidente della commissione Immigrazione dell’Anci – e continueremo a lasciare che questa emergenza gravi solo ed unicamente sulle spalle dei pochi Comuni che oggi si fanno carico dell”accoglienza. Per questo la Commissione Anci farà da pungolo costante per le Regioni e per le Anci regionali, affinché si attivino con sempre maggiore efficacia anche rispetto ai parametri oggi utilizzati in modo troppo rigido per l”attivazione della rete Sprar”.

Chi ha delle responsabilità, accolga
Il piano B proposto da Gianni Bottalico, presidente nazionale delle Acli, invece, prevede una “maggiore condivisione dell’accoglienza” da cui, spiega, “non possono tirarsi indietro proprio quei Paesi che hanno responsabilità dirette sulle cause che costringono centinaia di migliaia di profughi a fuggire, per come questi Stati hanno agito in Libia o per come agiscono sulla situazione della Siria”. All’Europa, Bottalico chiede “un vero cambio di passo delle politiche di accoglienza, per proteggere le persone e salvare vite umane”. Al governo italiano, la richiesta di “affrontare questa gravissima crisi umanitaria attivando una coerente ed efficace politica di intervento in cui legalità e fermezza, condivisione e solidarietà, continuità al posto della logica dell’emergenza, facciano da supporto e premio al generoso sforzo profuso nei salvataggi e da coerente sostegno alle reiterate sollecitazioni alla refrattarie istituzioni internazionali”.

La priorità è salvare vite umane
Il monito è dell’Unhcr che chiede di dare “priorità al salvataggio di vite umane, anche espandendo e migliorando urgentemente le capacità di ricerca e soccorso”. Per l’Unhcr serve una robusta operazione europea di ricerca e soccorso, la creazione di un programma europeo per compensare le compagnie marittime coinvolte nel salvataggio di persone in mare, l’aumento di alternative legali ai pericolosi viaggi in mare.
Nonostante l’agenda Ue preveda un potenziamento delle operazioni in mare, per il Centro Astalli, però, occorre fare di più. “Si ribadisce ancora una volta che il mandato di Triton è quello di Frontex, cioè il controllo delle frontiere – spiega padre Camillo Ripamonti -. Certamente allargando i controlli a 138 miglia dalla costa permetterà di incrociare quelle situazioni di difficoltà e di intervenire con maggiore rapidità salvando più vite, ma il criterio di fondo è il controllo delle frontiere”.
Sul tema dei mega campi di accoglienza e smistamento, dove esaminare le richieste d’asilo dei profughi, nei paesi di transito, risponde Nabil Benbekthi, funzionario dell’Unhcr Tunisia nel corso dello stesso convegno internazionale Migramed, organizzato da Caritas italiana a Tunisi. “Una falsa buona idea, o meglio una falsa soluzione”. Secondo la proposta Ue proprio la Tunisia potrebbe essere uno dei paesi in cui allestire uno dei primi hub per l’esame delle domande d’asilo. “Non credo che questo fermerebbe le partenze – spiega Benbekthi -. I trafficanti non sarebbero minimamente impressionati da questa soluzione”.

Non solo siriani o eritrei
Un punto su cui l’intero mondo dell’associazionismo ha subito mostrato di avere le stesse idee è quello che vede, secondo l’agenda Ue, siriani ed eritrei come unici destinatari di un possibile piano di ricollocamento all’interno dei paesi membri. Per padre Ripamonti, presidente del Centro Astalli, si tratta di una classificazione “inaccettabile”. “Lo status di rifugiati deve essere riconosciuto sulla base di persecuzioni personali e non sulla base della nazionalità – spiega Ripamonti -. Fare classifiche tra i paesi da cui accogliere i rifugiati è contro la tutela del diritto di asilo per quanti fuggono da  guerre e persecuzioni. La richiesta d’asilo è relativa alla storia delle singole persone, non alla provenienza. Un richiedente asilo è uguale sia se viene dal Gambia che dall’Eritrea”.
Per la Fondazione Migrantes, l’ipotesi contenuta nell’agenda Ue è “discriminante nei confronti dei richiedenti asilo, non è nella linea della storia giuridica del diritto di asilo” e riguarda solo “il 30 per cento dei richiedenti asilo che arrivano sulle coste del Mediterraneo”. Per Filippo Miraglia, vicepresidente di Arci nazionale, invece, “la ripartizione interna delle quote dei rifugiati (contenuta nell’agenda Ue) è il grande bluff – sottolinea –. Abbiamo visto l’anno scorso come a fronte di decine di migliaia di rifugiati provenienti da questi due paesi solo qualche centinaio di persone è rimasto in Italia. Siriani ed eritrei se ne sono già andati dal nostro paese o comunque se ne andranno, è chiaramente una presa in giro”. Posizione troppo rigida dell’Europa su questo punto anche per il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), che esprime le proprie perplessità sulla “selezione dei richiedenti asilo da trasferire in base alla loro nazionalità – solo siriani ed eritrei – quando il quadro internazionale di protezione parte sempre dalla situazione individuale e non da quella dei gruppi nazionali”. Cir che, inoltre, chiede anche di “aprire canali di ingresso legali per dare una risposta effettiva alle crescenti necessità di protezione”. (ga/ec)

Da Redattoresociale


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