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I Rolling Stones e i 50 anni di “Satisfaction”. Intervista a Ernesto Assante

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Era il 5 maggio 1965. Nella stanza di un hotel il chitarrista dei Rolling Stones Keith Richards sviene letteralmente dopo un concerto e una festa trascinante. Prima di addormentarsi ha in mano la sua chitarra. Accende il registratore portatile e comincia a suonare. Ma di colpo sprofonda nel sonno. Quando la mattina seguente riascolta il nastro scopre che prima dei quaranta minuti di versi inconsulti del suo russare ce sono due circa di chitarra acustica. In quegli imprevisti centoventi secondi c’è lo storico “riff” di “(I Can’t Get No) Satisfaction”, un monumento della storia del rock.
A cinquant’anni di distanza con il giornalista e critico musicale Ernesto Assante (nella foto in basso)parliamo di questo memorabile brano, degli Stones e di quell’anno, il 1965, in cui il rock ha iniziato ad infiammare i cuori di una generazione. E quelle a venire.

Il 12 giugno 1965, cinquant’anni fa, usciva “Satisfaction” dei Rolling Stones. Perché questo brano resiste così pervicacemente allo scorrere del tempo?
Tendenzialmente per due ragioni: il riff ovviamente, tre note che salgono e scendono e che sono davvero imbattibili. Colpiscono perfettamente nel cuore dell’appassionato di musica rock e lì rimangono piantate, scolpite come nel marmo. Il secondo motivo è il testo. Intercettava quell’insoddisfazione generazionale che a un certo punto della propria vita ti fa dire che il mondo deve essere cambiato. “Satisfaction” esprime questo sentimento ancora oggi con straordinaria attualità.

ernesto-assanteA Roma lo scorso anno hanno entusiasmato i fan al Circo Massimo. Ad applaudirli, ballare e cantare con loro c’erano di fatto tre generazioni. Cos’è che li rende così attuali e così transgenerazionali?
Penso che buona parte del motivo del loro successo sia che gli Stones hanno superato la fase critica, gli anni ‘80 e ‘90 e sono in qualche modo rigenerati. Non più all’inseguimento del successo con il pubblico giovanile. Portano in giro un “museo”, la straordinaria storia di musicisti che non fanno finta di essere qualcos’altro, più giovanili, più divertenti, o più elettrici… Perché sì, sono abbastanza e naturalmente giovanili, divertenti ed elettrici oggi anche se hanno settant’anni. Al concerto romano del Circo Massimo li ho trovati travolgenti!

Il 1965 non è solo l’anno di “Satisfaction” ma di altri grandi capolavori. Un anno-spartiacque nella storia della musica?
E’ l’anno in cui di fatto comincia il rock. Prima c’era il beat, il folk, il pop. Nel ‘65 cambia tutto per merito, essenzialmente, di quattro brani: “Help” dei Beatles in cui John Lennon per la prima volta non racconta storie d’amore adolescenziali ma dice “ho bisogno d’aiuto” nonostante tutto sembri meraviglioso. Era la chiamata a raccolta di tutti i ragazzi, ognuno di noi ha bisogno di qualcun altro. Poi c’è “Like a rolling stone” di Bob Dylan che racconta la storia di una giovane ragazza che si perde all’interno di un mondo che sta cambiando. Dylan racconta questa storia “usando l’elettricità”: attacca la spina, come si dice in gergo, molla il folk e sceglie di produrre un suono elettrico. E’ il rock. E poi c’è “My Generation” degli Who. Anche in questo brano c’è il suono elettrico, dirompente e quel testo intenso che recita “spero di morire prima di diventare vecchio”. E ovviamente “Satisfaction” degli Stones.  Il rock nella sua massima espressione nasce esattamente in quell’anno, quando prende coscienza di essere un modo di fare le cose che altri non sapevano fare.

Beatles o Rolling Stones, i fan si dividevano. Chi era più rock e più “rivoluzionario”?
Erano due facce della stessa medaglia. Erano rock entrambi. Anzi potremmo dire che i Beatles sono rivoluzionari mentre gli Stones sono ribelli. Due modi diversi di opporsi al sistema. Contro gli adulti, contro lo status quo, contro tutto. I Beatles forse erano più rivoluzionari: con quell’aria da bravi ragazzi entravano in tutte le case perché non facevano paura ma poi cambiavano profondamente le cose. Chi sentiva la musica dei Beatles dopo, non viveva più allo stesso modo. E dal ‘67 in poi altro che bravi ragazzi. Fanno di tutto e di più anche più radicalmente degli Stones che sono sempre stati sfacciati e provocatori ma mai politici fino in fondo, se non in un periodo molto breve intorno al ‘68. Erano due anime dello stesso movimento che cercavano di cambiare tutto alla radice.

A cinquant’anni di distanza qual è lo stato di salute del rock?
Ottimo in termini musicali perché ci sono band molto interessanti ma pessimo se vogliamo pensare a una forza in grado di cambiare lo status quo. Se il rock è una forza trasformatrice questa energia è piuttosto spenta. Musica molto bella ma è soltanto musica.

E’ sbagliato e illusorio cercare oggi degli eredi di quella stagione?
Allo stato attuale non ci sono ma dato che il mondo è ciclico non nutro dubbi che prima o poi si rivelino.

* Fonte: “Radiocorriere Tv”


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