BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Lettera a un siriano

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Caro Robert, decido di raccontare la tua storia adesso che è passato un po’ di tempo, raccontandola con la stessa consapevolezza e lo stesso sentimento con cui ho deciso di ascoltarla e, prima ancora, di accoglierti. La consapevolezza che quanto mi hai raccontato possa essere completamente vero, vero solo in parte, oppure in gran parte inventato, e che io probabilmente non potrò mai saperlo. Il sentimento che valesse comunque la pena ascoltarti, parlare con te, assistere alla crisi di nervi di un uomo stanco, cercare di scherzare e ridere insieme quando si è presentata l’occasione.
E che sia valsa comunque la pena lo so con certezza, perché anche se la tua storia te la fossi inventata, resta una storia possibile per migliaia di altri esseri umani.

La stessa consapevolezza e lo stesso sentimento li ho avuti quella mattina all’alba del resto, quando salendo le scale del palazzo ti ho trovato là, una sagoma scura distesa a terra, sul pianerottolo, il viso avvolto nel sonno e il corpo in una bandiera siriana, col volto di Bachar Al Assad stampato sopra in trasparenza. Ti avrei dovuto svegliare per forza perché mi bloccavi il passaggio, la mia valigia era pesante e per un istante ho pensato: “in linea teorica potrebbe anche essere un criminale, volendo potrebbe anche farmi del male”. Ma fuori faceva freddo, diluviava e tu eri avvolto in una bandiera di tela leggera, dormivi come un sasso; mi sono detta che in fondo tra i due eri tu quello più indifeso. Quando finalmente sono riuscita a svegliarti ho solo avuto il tempo di chiederti da dove venissi (adesso dalla Francia, sono siriano armeno, cristiano – mi hai detto) e come ti chiamassi: Robert.

Va bene Robert, stai tranquillo, continua a riposare.
Quando è finalmente giorno e ti svegli ci mettiamo a parlare, in francese. La tua storia, riassumendo un po’,  inizia alla fine 2007 quando hai 27 anni; dopo aver lavorato a Beirut per 2 anni decidi di tornare in Siria perché tua moglie ti lascia per raggiunge un suo cugino in Libia. Al rientro nel tuo paese passi alcuni giorni in detenzione per una serie di interrogatori, cosa che accade a molti siriani sulla base del sospetto di dissidenza; dopo il rilascio decidi di ripartire e andare in Europa a cercare un lavoro che ti permetta di guadagnare abbastanza per andare un giorno a vivere altrove, in un paese non europeo (di cui non faccio il nome) dove hai dei cugini che vivono bene. Così inizi il tuo itinerario da migrante economico: vai in Turchia e da lì t’imbarchi per la Grecia; all’arrivo le autorità elleniche ti prendono le impronte digitali ed essendo entrato in territorio europeo illegalmente resti bloccato in un centro di detenzione per mesi, in condizioni pazzesche, umilianti. Quando ti viene rilasciato il foglio di via, che ti concede un mese di tempo per abbandonare la Grecia, riparti subito per raggiungi le coste italiane e infine arrivare in Germania. Ad Amburgo, dove hai degli amici connazionali, riesci per qualche tempo a lavorare come elettricista e carpentiere, senza documenti, fin quando torni in un centro di detenzione per immigrazione clandestina; dopodiché devi lasciare il paese. Mi racconti che fino al 2012 vai avanti così, passando dal Belgio alla Norvegia, dalla Svezia a Londra: ogni volta un copione analogo, lavorando in nero finché non vieni fermato e messo in detenzione in quanto irregolare. Poi un giorno tua madre si ammala e ti chiede di tornare perché da sola non riesce più a occuparsi dei tuoi figli, che sono rimasti con lei. Così decidi di rientrare in Siria e con una serie di viaggi spezzettati e turbolenti, in sette mesi riesci a tornare a casa; la situazione in Siria è già precipitata, e convinci tua madre ad andare in Armenia da tua sorella. Nel 2013 riparti, stavolta con i tuoi due figli, ripetendo lo stesso tragitto che dalla Turchia vi porta in Grecia e di nuovo in Italia. Poi la nuova destinazione è la Francia, Parigi, dove speri di riuscire a mettere da parte i soldi per raggiungere la tua meta fuori dall’Europa. Ad ogni modo in Francia, come avevi già fatto quando eri passato dall’Italia, consulti operatori sociali e avvocati che ti danno un quadro della tua situazione (che con la guerra in Siria si è modificata rispetto al 2007) e ti spiegano l’iter da seguire per regolarizzarla. Ma tu decidi comunque di non presentare la domanda di asilo: in base al regolamento di Dublino la tua richiesta deve essere valutata dalle autorità greche e nei mesi necessari all’esame della domanda dovresti rimanere nuovamente bloccato in Grecia, con i tuoi figli, per un periodo indefinito di soggiorno forzato e dall’esito incerto, in condizioni inaccettabili. (Stiamo parlando della Grecia che la Corte di Strasburgo ha condannato per la carente applicazione delle normative sui richiedenti asilo e per i trattamenti degradanti e inumani subiti dai migranti).

Tant’è, a Parigi vai avanti per un anno lavorando da irregolare e riesci a mettere da parte un po’ di soldi per ripartire. Per risparmiare ancora e comprare i biglietti e i documenti per il viaggio passi gli ultimi mesi dormendo nella macchina che un amico ti mette a disposizione, fin quando non ti beccano di nuovo: non hai i documenti di soggiorno e fai dormire dei minori in strada. Stavolta però ti metti in guai più grossi – mi racconti – perché quando capisci che ti vogliono togliere i bambini diventi aggressivo e la situazione peggiora. I tuoi figli vengono affidati a un centro di accoglienza per minori, mentre a tuo carico adesso c’è anche l’aggressione a pubblico ufficiale: devi scontare un anno e mezzo di detenzione. Quando vieni rilasciato parti da solo per Milano, dove conosci un commerciante di passaporti falsi o rubati a cui dai i soldi che ti sono rimasti, sette o ottocento euro, per bloccarne uno. Non riuscendo a trovare un lavoro (irregolare) per finire di pagare il passaporto ti rimetti in viaggio, stavolta per Roma, ed è così che ci conosciamo.

Oltre alla tua storia mi hai raccontato anche il tuo progetto migratorio futuro, un progetto che negli  8 anni passati in Europa non sei riuscito a costruire e hai dovuto metterlo da parte. Mi dici che per te c’è una sola strada: comprare quel passaporto per lasciare l’Europa, metterti in regola nel nuovo paese e poi andare a riprenderti i bambini per portarli con te. Qui in Europa, in quanto caso Dublino sei incastrato; hai già passato 8 anni della tua vita così e adesso non vuoi più aspettare, per non impazzire.

Assecondi la mia richiesta di farti accompagnare in vari centri di aiuto per profughi e migranti, a Roma, per capire se davvero quella che proponi è l’unica soluzione (illegale e anch’essa piena di rischi). Ogni volta racconti la tua storia, nei dettagli, e la risposta è sempre la stessa: “è un caso Dublino, dovrebbe tornare in Grecia per un bel po’, dove avrebbe ben poca assistenza. E se il reato commesso a Parigi è ostativo l’asilo non glielo danno. Probabilmente ha ragione lui, qui non c’è niente da fare. Sa quanti ce ne sono in situazioni analoghe”?

Allora cerco di informarmi su come funzioni l’ammissione nel paese di cui mi parli e riesco a parlare a telefono con un centro per richiedenti asilo. All’uomo cui racconto la tua storia nei particolari non posso dire che il tuo progetto è di arrivare là con un documento falso, ma cerco comunque di farmi un’idea. Mi spiega che nel suo paese orami il tasso di accettazione delle domande dei siriani è quasi del 100%, e che anche in caso di diniego non viene disposto il rimpatrio; che il richiedente deve fare domanda appena arriva all’aeroporto, redigendo con molta attenzione una serie di documenti e facendosi identificare (con un documento vero). Mi spiega che effettivamente i profughi siriani vengono accompagnati in modo completo dal punto di vista legale, abitativo, socio-sanitario e nella ricerca di un impiego finché la loro situazione non si stabilizza. Poi si ferma per fare un commento: “certo in Europa succede che in base agli accordi di Dublino si creino situazioni paradossali o irrisolvibili. Senta, per il suo amico mi pare di capire che in Europa ci sia poco da fare. Dublino non c’è da noi, ma il problema è arrivare qui, anche per i Siriani e soprattutto se partono dall’Europa. Del resto anche voi europei avete bisogno di un visto per entrare nel nostro paese. Per molti profughi purtroppo la soluzione è quella di comprare un biglietto aereo con un passaporto falso. L’attività di vigilanza e controllo sui documenti qui è intensa ed efficace, tanti vengono scoperti, tanti altri ce la fanno e appena mettono piede a terra chiedono la protezione. Cinquanta e cinquanta, diciamo”. Taccio la mia sorpresa per i passaporti falsi che il signore nomina esplicitamente e gli resto grata per la schiettezza (che evidentemente la situazione rende necessaria, e questo faccia riflettere)…

Ebbene Robert, dopo qualche giorno mi telefoni da Milano e mi dici che i tuoi amici hanno fatto una colletta per comprarti il biglietto aereo. Tu, per pagare il nuovo passaporto europeo che ti permetterà di partire, stai per vendere la tua vera identità siriana, il tuo passaporto scaduto dal 2013 che non hai potuto rinnovare (e penso a tutti gli anelli della catena che continueranno la tua storia, al trafficante di documenti e a chi acquisterà la tua identità siriana). Mi dici che probabilmente questa sarà l’ultima telefonata perché vendi anche il cellulare. E poi partirai. Io posso solo augurarti buona fortuna e pregarti di darmi notizie quando sarai arrivato, sperando che vada tutto bene.

Ecco Robert,
anche se non saprò mai se la tua storia è veramente quella che mi hai raccontato, se in prigione a Parigi ci sei finito davvero per offesa a pubblico ufficiale o perché invece hai fatto qualcos’altro, sono felice di averti incontrato: quello che ho conosciuto io è un giovane uomo educato, rispettoso e mite, che mi ha raccontato la storia di molte altre persone che come te abbandonano condizioni di vita difficili per incontrare ulteriori difficoltà nel darsi un nuovo progetto di vita.

Persone che delle situazioni da cui fuggono non hanno la responsabilità. Ma oltre che senza responsabilità, spesso rimangono anche senza risposte.
Una volta hai telefonato ai tuoi figli, che adesso vanno a scuola a Parigi, e mi hai fatto parlare col più grande; parla un ottimo francese e mi ha raccontato che è molto bravo in matematica, la sua materia preferita. Poi mi ha chiesto se stavi davvero bene e se davvero vi sareste rivisti presto.

Io gli ho detto di sì. Adesso sta a te, sperando anche in un po’ di fortuna, aiutarmi a dire che né tu né io gli avevamo detto una bugia.


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