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Olio di palma, lo sfruttamento nascosto dietro la certificazione

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di Antonella Sinopoli*

La questione dell’olio di palma, la sua demonizzazione e l’obbligo di indicarne la presenza sulle etichette dei prodotti, rischia, come sempre, di incidere negativamente sui piccoli produttori. Lo si comprende davvero solo stando a contatto con persone, famiglie, villaggi e comunità che sulla produzione di quest’olio basano la loro sopravvivenza. Facile da coltivare, copioso nella produzione, sostenibile nei costi, esso rappresenta il sostentamento per milioni di famiglie. Africa, Malesia, Indonesia, soprattutto.

Ed è dall’Africa occidentale che la pianta che lo produce è originaria. Se ti prendi del tempo per passare nei villaggi di questa enorme parte d’Africa, non puoi fare a meno di vedere donne e uomini a lavoro con la pianta e con i suoi frutti rossi da cui si estrae l’olio. Lavoro duro, metodico, anche noioso, ma indispensabile per andare avanti.

Quanto resisterà questa economia familiare? Quanto tempo passerà prima che le grandi imprese e multinazionali piazzino la bandiera dei conquistatori su queste terre? Quanti accordi sono già in corso – e quanti conclusi – con Governi locali avidi e compiacenti? Soprattutto da quando le grandi compagnie stanno puntando ad utilizzare l’olio di palma come biodiesel.

La questione non è se l’olio di palma è dannoso o meno alla salute – per quanti anni abbiamo ingurgitato cioccolata o messo creme antietà prima di porci il problema? -. La domanda è a chi gioverà creare panico tra i consumatori per assicurarsi campo libero – anche sotto l’aspetto morale – per garantirsi l’acquisizione di terre e il loro sfruttamento per offrire un prodotto certificato. La risposta è ovvia e, in parte, già nota.

Solo nell’Unione Europea l’importazione di olio di palma è andata esponenzialmente crescendo negli ultimi 15 anni, e l’Europa ne rimane il principale consumatore pro-capite, prima di Stati Uniti e Cina che pure sono grossi mercati di importazione e consumo.E le importazioni e necessità dell’olio di palma non andranno che aumentando. È stato calcolato che, entro il 2020, il mercato di questo prodotto sarà pari a 84 milioni di tonnellate e rappresenterà il 45% del mercato globale degli oli vegetali. Il problema sarà appunto una continua domanda che si scontra con la scarsità di terra.

Per tornare un attimo alla questione della dannosità o meno degli olii vegetali saturi non idrogenati – come l’olio di palma appunto – ognuno è in grado di tirare l’acqua al suo mulino. La Sime Darby, multinazionale malaysiana, in un recente report esalta i valori nutrizionali del prodotto: vitamina A, vitamina E, carotene, colesterolo free etc. etc.

Che significa? Significa che in questo gran parlare dell’olio di palma c’è qualcosa su cui bisogna andare più a fondo. La deforestazione, per esempio, l’espropriazione delle terre alle comunità locali– come accennavamo -, l’imposizione di regole a migliaia di chilometri di distanza da coloro che ne subiscono le conseguenze. Perché non è difficile pensare che il fatto di dover acquistare e produrre olio di palma certificato vorrà dire aumentare i costi e avere bisogno di più spazio di produzione.

Ma l’ambiente può reggere alla continua domanda di un prodotto ricercato e criticato allo stesso tempo? Una mappa interattiva creata dal Guardian può aiutare a capire quanto l’ambiente risente e possa ulteriormente risentire di produzioni su larga scala. “Se davvero si vuole una produzione sostenibile… essa dovrebbe essere affidata ai piccoli proprietari terrieri su una terra che già conoscono, non boscosa e sottoutilizzata allo stato attuale” afferma Ian Singleton, direttore del settore conservazione della PanEco Foundation.

Intanto, invece, si va avanti con deforestazione, land grabbing (termine ormai divenuto familiare anche a chi non conosce l’inglese), sfruttamento del lavoro. Per restare agli ultimi dati disponibili, publicati da Grain, negli ultimi 15 anni le compagnie straniere hanno sottoscritto oltre 60 accordi riguardanti circa 4 milioni di ettari nell’Africa occidentale e centrale dove hanno impiantato le proprie piantagioni intensive di olio di palma.

Fonte: “Voci globali”


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