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“La Siria di padre Paolo e oltre”
centralità di un convegno. 26 maggio, Fnsi

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Di lui, del gesuita Paolo Dall’Oglio, non si hanno più notizie dal 29 luglio 2013, giorno del suo rapimento. Sono passati quasi due anni ormai. Ha ancora un qualche significato parlare di lui non come sequestrato inghiottito nel buio dell’orrore siriano, ma come lettore, analista, protagonista di un impegno spirituale, culturale e politico per quel devastato Paese? Esiste ancora la “sua” Siria?

Da tempo “Il Mondo di Annibale” e “Articolo21” sono certi che leggere, o rileggere, quanto ha detto e fatto padre Paolo per la Siria e in Siria sia non solo un dovere civile ma anche una necessità di stringente attualità, indispensabile soprattutto davanti all’impasse in cui il mondo sembra precipitato davanti a una devastazione che ha prodotto la più grande e non certo conclusa tragedia dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. L’impegno della Federazione della Stampa a promuovere una riflessione spassionata e appassionata al riguardo è di estrema rilevanza. Soffermarsi sul suo impegno e le sue convinzioni, alle volte brusche, non mira a creare altari ma obbliga ad andare oltre dannose rimozioni e ancor più dannosi steccati.

Le migliori e più drammatiche conferme di questo le hanno date recentemente l’arcivescovo caldeo di Kirkuk, il domenicano Yousif Thoma Mirkis , che ha cura delle migliaia di cristiani di Mosul scacciati disumanamente dalle loro abitazioni dai terroristi dell’ISIS e il nunzio apostolico in Siria, Monsignor Mario Zenari. Il primo ha detto che “il nostro nemico non è solo davanti a noi, è anche dentro di noi, sotto forma di paure e ideologie che ci bloccano. [.] Anni fa ho scritto un articolo nel quale affermavo che con l’invasione dell’Iraq gli americani hanno aperto il vaso di Pandora. Ma quel che c’era dentro quel vaso ve lo avevano messo le dittature, nel nostro caso quella di Saddam Hussein; dittature che hanno aperto la perdurante guerra contro la cultura.” Monsignor Mario Zenari, nelle ore drammatiche del sequestro di padre Jacques Murad, dopo aver ricordato che sono almeno 20mila i siriani sequestrati da questo o da quello, ha sottolineato che ” i cristiani qui credo abbiano una missione particolare: di aiutare e fare da ponte tra le varie contrapposte posizioni e fazioni”.

Cogliere la centralità di queste riflessioni, in una prospettiva cristiana, è importantissimo per cogliere la riflessione che padre Paolo Dall’Oglio ha portato avanti per trent’anni, e capire che il vivere insieme è possibile nel Grande Levante se si riconosceranno e favoriranno i moderati nei due campi in lotta e non il contrario, come purtroppo sembrerebbe accadere dall’inizio di questo sconvolgente conflitto. Chi ancora oggi preferisce nascondersi dietro la criminalizzazione di intere comunità, forse, ascoltando, potrà rendersi tardivamente conto di essere caduto in terribile errore, costellato di attacchi chimici, azioni genocidarie, torture sistematiche e di massa, pulizie etniche: ecco come, intenzionalmente, si è fatto della Siria e dell’Iraq un laboratorio capace di produrre Frankenstein.

Lo sconvolgente rapporto dello Spiegel che, documenti alla mano, ci dice come sia stato un agente dei “laicissimi” servizi segreti iracheni a progettare l’ISIS non può non indurci a riflettere. Così come le parole dell’indiscusso studioso dell’ISIS Hasan Hasan, per il quale la macchina propagandista dell’ISIS fa irruzione nei cuori di tanti giovani, cioè di chi è diventato un ragazzo e poi un adulto con le immagini di quegli indicibili crimini negli occhi.

Ci sono alcune tappe nel percorso di padre Paolo che non possono essere dimenticate, a partire dal giorno in cui ha parlato pubblicamente per l’ultima volta, sin qui. Era il 27 luglio 2013 quando, dopo un intervento usualmente accalorato davanti a tantissimi “cittadini” di Raqqa, rilasciò un’intervista alla televisione Orient, dicendo: «Sono venuto a Raqqa spinto dalla mia tristezza, dal mio dispiacere per il sequestro del mio amico Ahmad al-Hajj Saleh, il quale mi ha riservato un’accoglienza abramitica a Tall Abiad, quando sono passato di lì a febbraio di quest’anno, 2013. Adesso siamo nel mese di Ramadan e, grazie a Dio, stiamo digiunando. Ho annunciato su Internet, appena è cominciato il ramadan, che ho intenzione di fare il digiuno quest’anno. Chiediamo a Dio la grazia: l’unione e la solidarietà con i musulmani. Noi siamo in una condizione di sforzo democratico per la caduta del regime e allo stesso tempo ci sono problemi molto dolorosi nell’opposizione siriana. Io sono venuto a chiedere ai siriani, a ricordare ai siriani, a chiedere a me stesso: insomma ragazzi, facciamo qualcosa per rappacificarci e porre davanti a noi l’obiettivo giusto, quello di ottenere la libertà per tutti i siriani. E conservarla».

Parole che non possono essere capite senza ricordare un altro giorno, quello in cui venne espulso dal regime siriano di Bashar al-Assad. E’ stato quel giorno che per molti lui è diventato un eroe, per molti altri un nemico; è il destino di chi guarda in faccia ai problemi senza nasconderli, ma anche senza accettare scorciatoie manichee. Non a caso proprio in quei giorni, mentre non rinunciava a denunciare le fossi comuni che il regime aveva riempito di sunniti “comunitariamente” inammissibili nella “Siria pregiata”, quella della strategica valle dell’Oronte, da pulire etnicamente, padre Paolo già avvisava che recarsi lì a denunciare quello sterminio significava impegnarsi anche impedire che qualcuno domani pensasse di fare lo stesso contro le comunità alawite, quelle da cui originano molti gerarchi siriani. Un incubo oggi assai ben presente, e pressante.

Padre Paolo aveva visto nascere una rivoluzione pacifica e non violenta, l’aveva saputa riconoscere e sentire “sua”, ma da subito ci aveva avvisato che qualcuno, più d’uno, stava tentando di sabotarla, di sfigurarla, di conquistarla, di militarizzarla, di capovolgerla. Non serve oggi riflettere su come lo avesse capito, perché lo avesse capito? Non potrà questo aiutarci non solo a vedere meglio il passato ma anche le radici dei problemi presenti?

Il suo libro sulla Siria, “Collera e luce”, è pieno di pagine illuminanti e dolenti, e nei giorni in cui uscì, solo e poco ascoltato, padre Paolo ci avvertiva che anche a volerla guardare con disinteresse la tragedia di Siria già irrompeva nella nostra vita, nella nostra quotidianità, con una marea di profughi inarrestabile, ingestibile. Non sta accadendo esattamente questo?

La Federazione Nazionale della Stampa Italiana e Articolo21 hanno preso davvero un’iniziativa importante, coinvolgendo esperti di primissimo piano, da Beirut come da Roma o Trieste. Per ricordare, per capire, ma forse soprattutto per dire che al vivere insieme non si può rinunciare. Non rinunciarvi, ha detto recentemente a un convegno promosso dalla Comunità di Sant’Egidio il libanese Tareq Mitri, non significa illudersi che per garantirla basti organizzare una bella competizione parlamentare, dopo decenni di egemonia comunitaria o clanica, ma capire che occorre costruire meccanismi di inclusività.

Non sarà facile, ma tenendo a mente come i libanesi siano usciti dalla loro recente e devastante guerra civile questa appare un’indicazione preziosa, imprescindibile. Non a caso proprio all’inizio del suo libro “Collera e luce” padre Paolo ha scritto: “se si cerca ad ogni costo di identificarsi in un gruppo, ciò provoca il medesimo atteggiamento in un gruppo opposto: come in uno stadio di calcio, ogni curva ne crea un’altra. Le grida di denuncia dell’ingiustizia, allora, si fanno eco.”

La presenza di familiari e amici mi sembra dire proprio questo: l’impegno continua, come ieri, oltre i suoi orrendi confini.


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