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Dal caso Biagi alla camorra che attacca il giornalista Palmesano

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Da giovane a un certo punto seguivo con tanta passione la politica e l’atteggiamento dei giornali. Insegnando all’Università di Torino proprio Storia dei mezzi di comunicazione, a cominciare dai giornali, ho deciso di fondarne uno che si chiamava Città  e durò due anni con una certa difficoltà perché allora la grande industria dell’auto era presente e opprimente nella città che era stata di Gramsci e Gobetti, due tra gli scrittori da me preferiti.

Ciò mi viene un mente perché in questo momento succedono cose per certi aspetti incredibili e gli italiani sembrano farci quasi poco caso.  Anche qui metto insieme due episodi a prima vista poco legati ma che servono insieme, a mio avviso, a dare il senso della crisi della repubblica da cui cerchiamo di uscire ma con molta lentezza e difficoltà in parte a causa di un governo di larghe intese che deve accontentare un parlamento diviso tra una maggioranza claudicante e opposizioni per così dire  distanti come i  Cinque Stelle e Forza Italia, piuttosto in declino almeno per ora.

Il primo caso, per certi aspetti incredibile, è la beffa realizzata a proposito dell’assassinio di Marco Biagi ucciso a Bologna dalle Brigate Rosse e sprovvisto di scorta, mentre ritornava a casa dall’università di Modena dove allora insegnava Diritto del lavoro.  La beffa consiste nel dichiarare prescritte le responsabilità del ministro dell’Interno, l’ineffabile Claudio Scajola, il politico che dichiarò di non sapere chi avesse pagato per lui la casa che abitava a Roma di fronte al Colosseo e Gianni De Gennaro, capo della polizia e oggi presidente di Federmeccanica. L’allora ministro dell’Interno Scajola aveva definito Biagi un “rompicoglione” davanti a due giornalista perché lo studioso,  più volte minacciato e impegnato in una “riforma del lavoro” che il governo Berlusconi  stava preparando chiedeva una scorta che gli più volte negata ma questo non ha pesato minima mente a causa di una legge del tutto inadeguata sulla prescrizione  approvata in quegli anni e non ancora modificata. Vale la pena riportare almeno le parole dell’avvocato Guido Magnisi che ha rappresentato la famiglia Biagi:” La prescrizione consentirà agli indagati di non confrontarsi con la giustizia e con la realtà dei fatti. Mi limito a fare mia la considerazione della fami glia Biagi: per citare Jung, agli stessi  soggetti coinvolti  resta il doloroso e sofferente confrontarsi con le proprie coscienze.”

La seconda notizia riguarda un giornalista Enzo Palmesano, cronista dei giornali Cronache di Napoli  e Corriere di Caserta e oggi del quotidiano Cronache di Caserta, che è stato licenziato su ordine del boss Vincenzo Lubrano, che è stato uno dei boss più temuti della camorra campana, legata alla mafia corleonese attraverso il vincolo che univa la sua famiglia a quella dei Nuvoletta, mandatari di  Cosa Nostra  in Campania. Lello Lubrano, primo geni to di don Vincenzo, aveva sposato Rosa Nuvoletta, figlia del capomafia di Marano, Lorenzo. I Nuvoletta, benché napoletani, non sono camorristi, sono l’unica famiglia esterna alla Sicilia che ha avuto un ruolo ai vertici di Cosa Nostra. Vincenzo Lubrano fu condannato all’ergastolo come uno dei mandanti dell’omicidio del sindacalista di Maddaloni, Franco Imposimato, fratello del giudice Ferdinando Imposimato  nel 1983. E Imposimato fu ucciso per due ragioni: per colpire il fratello del giudice che stava indagando sul riciclaggio di Cosa Nostra a Roma e perché si batteva sul territorio affinché le colline maddalonesi non fossero divorate dalle cave che oggi le deturpano. L’omicidio Imposimato è considerato un delitto di mafia perché l’ordine ai campani arrivò direttamente dalla Sicilia.


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