Di Flavia Di Lena
ROMA – Quando a Settembre nell’intervista che Pippo Civati rilasciò a Dazebao gli venne chiesto se avrebbe continuato ad anteporre l’unità del partito alle proprie posizioni, pur essendosi spesso venuto a trovare in contrasto con quelle di Renzi, l’Onorevole così rispose: Non è del tutto vero che antepongo sempre l’unità del partito. Sulla riforma costituzionale non l’ho fatto e non lo farò, perché ritengo ci siano delle questioni, come anche la legge elettorale, sulle quali è giusto avere libertà di espressione.
Ed è proprio all’ “imposizione” dell’Italicum che crolla la fiducia di Civati nel Governo Renzi: l’Onorevole lascia il gruppo parlamentare dei Dem e il PD stesso. “Un messaggio per gli elettori del centrosinistra, o meglio la condivisione di una delusione che ormai dura tempo”; come spiega.
Il problema di fatto è nel Governo e nelle logiche da Prima Repubblica con cui comanda. La buona politica si basa su maggioranza e opposizione. Ora l’opposizione esiste, una frattura nel Pd c’è e nei giorni che hanno preceduto la fiducia si è resa ancor più evidente, ma Renzi non sembra affatto tenerne conto puntando a raccogliere il numero dei voti necessari più che ad un vero dialogo.
E quanti elettori, in effetti, trovandosi nella possibilità di esprimere il proprio voto, questa fiducia l’avrebbero negata al premier? Molti, senz’altro. Tutti quelli che oggi si chiedono se a questo gesto di rottura potrà seguire la nascita di una nuova realtà politica, in grado di creare una vera e concreta opposizione, che finora rimane una voce senza volto nè identità.
In fondo però quasi nessuno ha dato seguito a questa “sortie”, seguita finora solo dall’europarlamentare Elly Schlein, che rimane quindi una voce fuori dal coro. Ma l’uscita dal partito, di uno dei suoi membri che si potrebbe definire “storici”- dalla Leopolda fino alla candidatura alle primarie- è una sconfitta di tutti: certo Renzi si sarà pur liberato del cosiddetto “sassolino dalla scarpa”, ma il gesto di Civati racchiude in sè e rende concreto un malcontento non solo interno al Pd ma dell’elettorato stesso e la sfiducia in un partito che progressivamente si sta snaturando, divenendo un amalgama di centro nella quale diventa difficile riconoscersi e riconoscere l’anima di sinistra; una deriva questa che si deve a Renzi, alle scelte “monocratiche” del suo Governo i cui effetti potrebbero negativamente influire sulle prossime elezioni regionali.
Sarà l’inizio di un terremoto, o un semplice agitarsi di acque?
Da dazebao.it