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Caso Moro, una ferita che continua a sanguinare

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Il 9 di maggio di 37 anni fa, Aldo Moro, il presidente della Democrazia Cristiana, viene ucciso dalle Brigate Rosse e il suo corpo viene fatto trovare a via Caetani, una strada di Roma che si trova tra via delle Botteghe Oscure e piazza del Gesù: la via dove c’è la storica sede del PCI, la piazza dove c’è la storica sede della DC.

Il 9 maggio è anche la Giornata della Memoria: la giornata del ricordo di tutte le vittime del terrorismo, quello tinto di nero e quello tinto di rosso; e anche le vittime delle innumerevoli stragi che vedono i manovali, consapevoli o no che siano, coperti, protetti, aiutati da “pezzi” dello Stato, delle istituzioni che avrebbero il compito di difendere il cittadino; e invece lo “offendono”. Un elenco enorme di vittime, di morti e di feriti, di dolore inflitto e procurato: migliaia i caduti, e ferite irrimarginabili per le famiglie. Da dove cominciare? Da quella di piazza Fontana a Milano, alla Banca dell’Agricoltura, 1969? O non è forse più giusto cominciare da quella di Portella della Ginestra il 1 maggio del 1947, l’eccidio perpetrato dalla banda di Salvatore Giuliano, e che vede all’opera un micidiale intreccio fatto di mafiosi, politici, uomini delle istituzioni. Anche quella strage, in fin dei conti, è rubricabile nel terrorismo (anche se non solo terrorismo); è con quella strage, che l’Italia perde la sua “innocenza”, ammesso ne abbia mai avuta una… E da allora, vittime del terrorismo sono centinaia, migliaia: magistrati, poliziotti, carabinieri, politici, cittadini qualsiasi “colpevoli” di trovarsi nel momento sbagliato nel posto sbagliato… Se tutti i nomi di queste vittime venissero collocati uno dietro l’altro, con la sola data di nascita e di morte, se ne ricaverebbe un “muro” infinito, la cui vista non potrebbe che sgomentare.

Il modo per onorare questi martiri? Ricordare quello che è stato. Anche se ricordare costa, è faticoso; e può anche essere pericoloso. Ma ricordare, tramandare, far si che non si smarrisca il ricordo è un dovere civico e morale; e l’altro imperativo categorico è non stancarsi di cercare la verità.

Per tornare alla giornata del 9 maggio di trentasette anni fa: ci sono ancora troppe pagine oscure, fatti non spiegati.

1) Ancora non sappiamo la verità sulla famosa “seduta spiritica” nel corso della quale una “voce” sussurra il nome di Gradoli. I presenti per tutto questo tempo ci hanno raccontato quelle che si possono solo definire “balle”; dai professori Alberto Clò, Mario Baldassarri e Romano Prodi, ancora non è venuta la verità su quella giornata trascorsa nella casa del professor Clò a Zappolino.

2) Ancora non sappiamo la verità sul brigatista che prese parte al rapimento di Moro e non ha fatto un solo minuto di carcere: quell’Alessio Casimirri che, secondo il suo incredibile racconto, riesce a lasciare l’Italia, transita senza documenti per alcuni giorni nella Mosca sovietica, infine riesce a imbarcarsi per il Nicaragua e beneficia di evidenti protezioni che vanno al di là e al di sopra dei governi che si avvicendano in quel paese. Casimirri vive tuttora indisturbato in Nicaragua, ha certamente avuto contatti con i servizi segreti italiani.

3) Ancora non sono stati chiariti tutte le dinamiche relative al falso comunicato brigatista secondo il quale Moro era stato ucciso e il suo corpo gettato nel lago della Duchessa.

4) Ancora non conosciamo perché, emerso il nome di Gradoli nel corso della famosa “seduta spiritica” si va nel paese, e non nella via a Roma; e anzi si nega alla vedova Moro che esista una via con quel nome, e la stessa vedova, stradario in mano, la indica; ma quella pista viene lasciata cadere; per poi riemergere nel modo in cui (non) sappiamo.

5) Ancora non conosciamo nei suoi dettagli e particolari la vicenda rubricabile con “I Giorni del Diluvio”: il “fanta-romanzo” dell’allora sottosegretario Franco Mazzola, presente a tutte le sedute del famoso comitato di crisi costituito nei 55 giorni del rapimento. Curiosamente firmato “Anonimo”, pubblicato da Rusconi, in pochi giorni quel “fanta-romanzo” sparisce dalle librerie; ripubblicato molti anni dopo da Aragno, è un’impresa reperirlo; letto con il senno di oggi, è illuminante. Pare che l’autore si sia ispirato, nello scriverlo, agli appunti presi in quei giorni, su alcune agende; chissà che fine hanno fatto.

6) Ancora non conosciamo l’esatta dinamica dell’omicidio di due ragazzi milanesi del centro sociale Leoncavallo, Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci, uccisi da otto colpi di pistola a opera di estremisti di destra. La “coincidenza” è che Fausto, con la sua famiglia, abitava in via Montenevoso 9; a sette metri di distanza dalla camera dalla camera di Fausto, al civico numero 8, c’era il famoso “covo” brigatista del “memoriale”. Una “coincidenza”? E sia: e “coincidenza” la morte di un giornalista de “l’Unità” che seguiva con particolare caparbietà la vicenda: travolto da un automobilista “pirata” a Milano, mai individuato…

Fermiamoci qui, per ora. A 37 anni dal rapimento e dall’uccisione di Moro, si avrebbe pure il diritto di sapere la verità, ed è amaro che si sia ancora qui, a doverla chiedere.


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