In questo nostro Paese ci hanno abituato a parlare di mafie in presenza di anniversari. Ma non tutti gli anniversari sono importanti. Oggi per esempio, 27 maggio, siamo a 19 anni dalle bombe piazzate a Firenze… dal latitante mafioso Matteo Messina Denaro quello che alcuni dicono che non è
niente dentro la mafia, mentre quel tritolo racconta altro. E di queste
stragi pero’ non si parla perché si dovrebbe parlare di Messina Denaro e
forse non e’ cosa buona e giusta parlare del boss. In questi giorni
abbiamo ricordato i 20 anni da Capaci francamente avrei preferito non
vedere parlare di Capaci da Bruno Vespa e su un campo di
calcio, non era il risultato di una partita da commentare. Presto avremmo
un anniversario da ricordare ma scommetto che non ci saranno celebrazioni.
Tra qualche settimana saranno 30 anni dall’introduzione del reato di
associazione mafiosa. Da trent’anni nel nostro Paese il reato di
associazione mafiosa viene perseguito ma la mafia, le mafie esistono da
molto tempo prima. Nella provincia dove comanda oggi Matteo Messina
Denaro, una provincia che non viene raccontata, Trapani, la presenza della
mafia sommersa come lo e’ oggi, è attestata in un documento del
procuratore del Re, prefetto Ulloa che il 3 agosto 1838 così scrive: “La
venalità e la sommissione ai potenti ha lordato le toghe di uomini posti
nei più alti uffici della magistratura. Non vi ha impiegato che non sia
prostrato al cenno ed al capriccio di un prepotente e che non abbia
pensato al tempo stesso a trae profitto dal suo Uffizio. Questa generale
corruzione ha fatto ricorrere il popolo a rimedi oltremodo strani e
pericolosi. Vi ha in molti paesi delle Fratellanze, specie di sette. Il
popolo è venuto a tacita convenzione con i rei”.
Sembra di leggere della
Trapani di oggi dove la mafia è sommersa, bene infiltrata, qui comanda la
mafia borghese, senza bisogno di coppole e lupare ha fatto diventare
legale il proprio sistema illegale. Qui a Trapani regna quel crocevia
misterioso dove mafia affari politica massoneria servizi segreti ha
regolato la vita non di una città, di una provincia, di una regione, ma la
vita dello Stato. Un crocevia di intrecci che oggi protegge la latitanza
di Matteo Messina Denaro per i segreti che questi si porta appresso a
cominciare dai documenti portati via dalla cassaforte del covo di via
Bernini dove Riina era nascosto. Il prossimo giugno, tra qualche giorno,
la latitanza di Matteo Messina Denaro taglierà il traguardo dei diciannove
anni.
A Trapani però da decenni ci sentiamo dire che, nonostante questi
scenari, non succede niente. Sentiamo dire ciò da quando giudice a
Trapani era anche Giovanni Falcone, qui arrivato a 26 anni, da Lentini:
erano tempi in cui il solo pensare alla mafia poteva rappresentare un
ardire. In un certo senso sono le odierne reazioni della cittadinanza
rispetto al fenomeno mafioso e alle sue connessioni: la gente adesso
rispetto ad allora non nega il fenomeno, ma la maggior parte si mostra
incredula quando sente dire di politici e funzionari pubblici arrestati,
anche condannati, di tangenti pagate ai boss, della mafia che si fa
imprenditoria. Qui c’è chi dice convinto che la mafia esiste perché deve
esistere per forza l’antimafia.
Dal 1982 ad oggi la presenza mafiosa trapanese è segnata da sangue, morti
ammazzati, faide, ma anche inciuci, crocevia di misteri, politica, servizi
segreti, italiani e stranieri, Gladio, massoneria. E’ la storia della
mafia che qui in questi tempi è tornata ad essere sommersa perché qui era
nata sommersa. Infiltrata nella borghesia, nei salotti della città, nei
circoli nobiliari. Qui a Trapani pochi sono stati gli uomini d’onore con
coppola e lupara, molti di più quelli che erano stati “punciuti” o erano
vicini alla mafia, personaggi con tanto di blasone, nobili, banchieri,
professionisti….in una parola borghesi. E si sa, ad un borghese viene più
facile fare tante cose, per esempio, condizionare l’informazione.
A Trapani c’è una informazione che tendenzialmente nasconde le notizie, o se
deve proprio raccontare usa più che mai il condizionale e attende il primo
momento utile per smentire il lavoro dei magistrati. La città di Trapani è
la città dove l’informazione si e’ adeguata e una prescrizione vale più di
una assoluzione, e una carcerazione è titolo per fare carriera e ottenere
rispetto. Trapani è la città che spesso sta lontano dalle vittime, non è
moda, meglio stringere le mani ai colpevoli e agli indiziati, Trapani è la
città dove se un imprenditore viene arrestato e si pente, la banca
telefona subito per sollecitare il rientro dal fido, in caso contrario
questa telefonata non arriverà mai.
A Trapani una cinquantina di imprese
sono uscite da Confindustria prima ancora che i vertici chiedessero i
certificati sui carichi pendenti. Fuori da Confindustria, e rimaste
perfettamente dentro al sistema economico. Trapani è la città che concede
la cittadinanza onoraria a due grandi giornalisti perché loro hanno
osannato la bellezza del mare e gli arancini, Trapani nega la cittadinanza
onoraria ad un prefetto che decise di difendere a viso aperto i beni
confiscati dall’attacco della mafia e dei colletti bianchi a servizio
della mafia.
Trapani vent’anni dopo Capaci. Si dice che Falcone sia andato via da
Palermo, con destinazione ministero della Giustizia, con la curiosità di
non aver potuto indagare sul centro Scorpione della struttura Gladio. La
base “Scorpione” era a Trapani. Mauro Rostagno pare se ne sia interessato.
Rostagno è uno degli otto giornalisti ammazzati in Sicilia perché i
mafiosi di lui dicevano che era “na camurria”, perché parlava sempre di
“mafia, mafia, mafia”. Nel 1988 quando fu ucciso, Rostagno dava il
microfono a Borsellino, alla mamma dell’agente Antiochia, intervistava lo
scrittore Cimino e Claudio Fava, sbeffeggiava Mariano Agate, boss di
Mazara, pensate se poi era pure riuscito a intercettare i traffici di armi
segreti, che venivano fatti sulle rotte della droga, all’ombra di Gladio,
la sua vita era presto finita segnata. Gladio, i traffici di droga e di
armi, il delitto , restano oggi ancora fatti accennati, senza colpevoli. E
la mafia trapanese in questo contesto ma non solo in questo, sembra essere
stato un service di morte a disposizione di altri.
Vent’anni dopo le stragi e 19 dopo quelle del 1993 dobbiamo fare i conti
con una informazione malata, che celebra l’antimafia da souvenir, che usa
un campo di calcio per una trasmissione sul fenomeno mafioso, una
televisione che nel resto dell’anno dimentica di fare il plastico delle
scene degli attentati di mafia, che dimentica per esempio che il tritolo
usato nel 1985 a Pizzolungo per uccidere il giudice Palermo, che si
salverà grazie al sacrificio di una donna e dei suoi due genmellini, è lo
stesso usato nell’attentato al treno 904, è lo stesso di quello che verrà
usato all’Addaura contro Giovanni Falcone nel 1989…
Falcone parlò di
menti raffinate, come non parlare delle stesse menti raffinate per Carlo
Palermo o ancora per l’oggi questore Rino Germanà che dopo avere indagato
da capo della Mobile di Trapani sulle grandi banche della mafia si
ritrovò retrocesso di fatto a commissario e riportato a Mazara dove i
killer erano pronti ad attenderlo per ucciderlo, fortunatamente non ci
riuscirono.
Non serve oggi tanto il giornalismo d’inchiesta, se c’è ben venga, serve
un giornalismo che abbia la voglie e il desiderio di raccontare gli
accadimenti , che induca a riflettere, tante verità sono scritte in atti
giudiziari che non vengono raccontati o non vengono bene raccontati. Nelle
periferie di questo paese la legge bavaglio esiste da decenni senza
bisogno di essere approvata. Nelle periferie ci sono i cronisti che
raccontano le mafie ma ci sono i cronisti che sono protagonisti di una
mafia che gestisce l’informazione, e per farlo non hanno bisogno di essere
punciuti. Basta non raccontare bene e il gioco è fatto.
Il prefetto Ulloa lo scrisse nel 1838, l’emergenza era costituita dalla
mafia e dalla corruzione. Oggi l’emergenza non è cambiata. E’ vero non si
spara più ma non si racconta a dovere, oggi ai giornalisti le
intimidazioni arrivano in nome della legge, con le citazioni in sede
civile promosse da uomini delle istituzioni quelli che ieri negavano
l’esistenza della mafia e oggi ci dicono che la mafia è sconfitta e che
preso l’ultimo dei latitanti, Matteo Messina Denaro, Cosa Nostra avrà
smesso di esistere. Intanto puo’ capitare che chi dice che Messina Denaro
deve esser preso e consegnato al carcere a vita si vede bruciare la casa
o si è visto portare da mani anonime buste con proiettili direttamente sul
tavolo da lavoro.
Qui se si scrive che Messina Denaro è circondato da una
“cricca” di insospettabili e se alcuni di questi vengono arrestati,
immediatamente scorre un fiume di incredulita’. C’è chi prova a raccontare
queste cose scrivendole sui giornali, c’è chi non ci prova affatto, c’è
chi deve scrivere le cose a metà, e c’è chi è pronto a smentire quanto
scritto dal collega o c’è chi il bavaglio se lo mette senza nemmeno
bisogno che qualcuno glielo dica di fare, capisce l’andazzo e si adegua da
solo.
Ovviamente i più inaffidabili tra i giornalisti sono coloro i quali
che carte giudiziarie alla mano raccontano, senza bavaglio, il lavoro di
magistrati ed investigatori. Uno di quelli che parlava così ai
telespettatori dei suoi tg era Mauro Rostagno , chi ha indagato sulla sua
morte ha detto che era circondato dai lupi e i lupi lo hanno azzannato,
oggi i lupi non azzannano come fecero con Rostagno ma ci sono lo stesso,
restano in giro, difendendo chi nella politica non rispetta la distanza di
sicurezza dalla mafia, tutelando chi fa il sindaco antimafia recitando una
parte.
Non amo parlare in prima persona, ma oggi lo devo fare. Per ristabilire
una verità che mi riguarda e che ha a che fare col raccontare. L’estate
scorsa ho lasciato per dimissioni volontarie il giornale dove ho lavorato
per oltre 20 anni, di cui 11 da regolarmente assunto. E’ vero la mia
attività è stata pressocchè libera, tra mugugni e lamenti ho scritto su
Trapani e le mafie. Poi la decisione di fermarmi quando i giudizi sul mio
conto sono cambiati dentro al luogo in cui lavoravo. Nessun allontanamento
per causa delle mie cronache antimafia ma un allontanamento mi e’ stato
fatto avvertire, ne ho preso atto e ne ho tratto le conseguenze
presentando le dimissioni, purtroppo oggi c’è chi realizza miserabili
messinscene ritenendo che qualcuno o io stesso voglia passare per vittima.
Non ci sono vittime in questa storia, nel giornalismo le uniche vittime
restano coloro i quali hanno perduto la vita per avere tenuto salda in
mano la penna o chi allo stesso modo si è visto mettere la bomba sotto l’auto
o chi quella bomba l’ha avuta promessa come è successo a tanti colleghi
come Gianfranco D’Anna, Lirio Abbate e oggi Giovanni Tizian. La mia
vicenda testimonia solo che raccontare non e’ sempre cosa facile e
accettata, altro che giornalismo d’inchiesta, il problema resta quello del
racconto, raccontare cio’ che ascolti in un’aula di Tribunale o che vedi
di persona, l’inchiesta che si deve fare e’ semmai quella che serve a
scoprire perche’ determinate notizie non si scrivono.
Oggi abbiamo un lavoro da continuare. Vent’anni dalle stragi in questi
giorni ci dicono che quelle morti sono legati ad una trattativa, ci fanno
vedere i volti di assassini sanguinari, quello che vorrei vedere io un
giorno sono i volti di chi ha aiutato e aiuta questi sanguinari assassini
e so di certo che questi sono i volti di chi ci ha governato o ci governa,
persone distribuite nei tanti livelli istituzionali, Capaci, via D’Amelio
non sono stragi per favorire la trattativa sono stragi concordate in
quella trattativa che nel nostro Paese va avanti da anni, da troppi anni e
produce effetti dalle periferie al centro del Paese.
Questa è la pagina
del giornalismo d’inchiesta che vorrei un giorno fosse scritta. Caro
Roberto si fa quel che si può, accada ciò che può. E’ al mio direttore di
Libera Informazione Roberto Morrione che dedico questo premio alla
carriera consegnatomi oggi a Ravenna, come lo dedico a chi come il dott.
Giuseppe Linares a Trapani rappresenta i trapanesi onesti e nonostante
tutto ci dà speranza di potere presto vivere in una società migliore.
*intervento alla consegna del premio “Gruppo dello zuccherificio” di Ravenna
*intervento