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La libertà di stampa sta morendo. L’allarme nel Report Freedom House 2015

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Nel mondo della comunicazione globale, dei social network, degli scambi finanziari senza sosta e alla velocità della luce, la libertà di stampa sta morendo. Neppure le moderne tecnologie, come i tablet e gli smartphone, riescono a fermare governi che avanzano a forza di leggi liberticide, censure, tecniche di controllo intrusive e capillari, fino ai mezzi più tradizionali e violenti, come gli arresti indiscriminati, le torture, le uccisioni. A lanciare l’ennesimo grido d’allarme è l’istituto americano indipendente Freedom House, che da decenni monitorizza il livello di libertà di espressione e d’informazione nel mondo.

Il 2014 non è andato molto peggio dell’anno precedente, ma analizzando il decennio, allora lo sgomento è forte: dal 2004 ad oggi, infatti, sono diminuiti dal 39 al 32% i paesi con la dicitura “liberi”, quelli cosiddetti “parzialmente liberi” sono aumentati dal 26 al 36%, mentre quelli “non liberi” sono passati dal 35 al 32%.

“Le condizioni per i media si sono fortemente deteriorate nel 2014, raggiungendo il loro punto più basso in questi ultimi 10 anni. I giornalisti di tutto il mondo hanno incontrato più restrizioni da parte dei governi, dei militanti integralisti, dei criminali e dei proprietari dei media”: questo in sintesi il duro commento di Fredom House.
Secondo Jennifer Dunham, project manager della relazione: “I governi hanno usato le  leggi per la sicurezza o l’antiterrorismo come pretesto per mettere a tacere le voci critiche, i gruppi integralisti e le bande criminali si sono serviti sempre più di tecniche armate per intimidire i giornalisti, e i proprietari dei media hanno tentato di manipolare il contenuto delle notizie per servire i loro interessi politici o commerciali”.
La relazione ha rilevato che “i principali fattori che determinano il declino è l’uso di leggi restrittive nei confronti dei media, spesso per motivi di sicurezza nazionale. In un tempo in cui l’accesso sembra apparentemente illimitato alle informazioni e si affermano nuovi metodi di distribuzione dei contenuti, sempre più aree del mondo stanno diventando praticamente inaccessibili ai giornalisti”.
Ecco alcuni punti-chiave tratti dal Report (consultabile integrale in allegato PDF):

  • Tra i 199 paesi e territori valutati nel corso del 2014, un totale di 63 (32%) sono stati classificati “liberi”, 71 (36%) “parzialmente liberi”, e 65 (32%) “non liberi”.
    • Solo uno su sette (il 14%) degli abitanti del mondo vive in paesi con una stampa libera.
    • Tutte le regioni, ad eccezione dell’Africa sub-sahariana, il cui punteggio medio è leggermente migliorate, hanno mostrato cali. L’Eurasia ha subito il maggior calo.
    • Diversi paesi con storie di legislazioni più democratiche hanno subito un grave deterioramento nel corso degli ultimi cinque anni. La Grecia è sceso di 21 punti su una scala di 100 punti dal 2010, a causa della grave crisi economica e delle pressioni politiche. In cinque anni si sono registrati peggioramenti anche in Thailandia (13 punti), Ecuador (12), Turchia (11), Hong Kong (9), Honduras (7), Ungheria (7) e la Serbia (7).
    • 10 paesi e territori hanno ottenuto il peggior rating del mondo: Bielorussia, Crimea, Cuba, Guinea equatoriale, Eritrea, Iran, Corea del Nord, Siria, Turkmenistan e Uzbekistan.

America Latina

. Solo tre paesi sono stati classificati “liberi” (il 15% del totale) e solo il 2% della popolazione può usufruire della libertà di stampa.
• Honduras, Perù e Venezuela, hanno sperimentato cali significativi.
• Il Messico, che già soffre di atti di violenza endemica, ha ricevuto il punteggio più basso in oltre un decennio, dopo il varo di una nuova legge molto controversa sulle TLC.
• In Ecuador, la retorica ostile da parte del governo, in combinazione con persistenti  molestie legali a giornalisti e ai punti vendita, si è evidenziato un calo di due punti.
• Il punteggio degli Stati Uniti è sceso di un punto a causa di detenzioni, molestie e trattamento duro dei giornalisti da parte della polizia durante le proteste a Ferguson, nel Missouri.
Asia-Pacifico
• Solo il 5% della popolazione della regione ha avuto accesso ai mezzi di comunicazione libera nel 2014.
• Il punteggio della Cina è stata il peggiore dal 1990, le autorità continuano a mantenere in serrato controllo sui media liberali e sui canali alternativi di diffusione di notizie.
• La libertà di stampa si è fortemente deteriorata a Hong Kong a causa di un’ondata di attacchi violenti nei confronti dei giornalisti e la pressione sulle imprese per condizionare la pubblicità verso presso i punti vendita critici di Pechino.
• In Thailandia il punteggio è sceso in modo significativo in seguito al colpo di stato militare e l’imposizione della legge marziale.
Eurasia
• La stragrande maggioranza delle persone (82%) vive in ambito di media “non liberi”.
• Il governo della Russia ha stretto la sua morsa sui media, sopprimendo l’informazione indipendente e la distribuzione di punti controllati dallo Stato per attaccare il dissenso interno e gli avversari stranieri percepiti come nemici.
• L’Ucraina è stata definita parzialmente libera con la caduta del governo del presidente Viktor Yanukovich, che ha portato a diminuzioni della pressione politica sui media dallo Stato e minore di ostilità nei confronti di voci indipendenti.
• In Azerbaigian, il governo ha scatenato un forte giro di vite sui media indipendenti, utilizzando minacce, incursioni armate, leggi restrittive e accuse penali inventate.
Europa
• Questa regione vanta il più alto livello di libertà di stampa, anche se il punteggio medio regionale ha registrato il secondo più grande calo netto del mondo negli ultimi 10 anni.
• Norvegia e Svezia sono state votate come i più avanzati paesi del mondo.
• L’ambiente mediatico della Turchia si è ulteriormente deteriorato, poiché il governo si è mosso in modo più aggressivo per chiudere lo spazio al dissenso con nuove misure giuridiche e intimidazioni.
• Cali notevoli si sono avuti anche in Grecia, Serbia, e l’Islanda.
• In Ungheria, che rimane parzialmente libere, il governo del primo ministro Viktor Orbán ha continuato ad esercitare pressioni sui proprietari dei media per influenzarli.
Medio Oriente e Nord Africa
• Solo il 2% della popolazione vive in ambienti di media “liberi”, mentre la stragrande maggioranza (93%) vive in paesi o territori “non liberi”.
• Un ritorno al passato per l’Algeria, che è scivolata nella categoria “non liberi”, così come Egitto, Iraq e Libia.
• La libertà di stampa è ulteriormente diminuito in Siria, dove la guerra civile brutale ha prodotto enormi pericoli per i giornalisti.
• la Tunisia ha registrato il miglior punteggio di un paese arabo in oltre un decennio.
Africa Sub-Sahariana
• La maggioranza delle persone nella regione (58%) vive in paesi con i media “parzialmente liberi”.
• Guinea-Bissau e Madagascar sono migliorati come “parzialmente liberi”.
• Il Sud Africa ha subito un forte calo dall’era dell’apartheid con il National Key Points Act e altre leggi contro i media, e sono aumentati atti violenti contro i giornalisti.
• In Nigeria, scarse le notizie dalle zone controllate da Boko Haram; mentre l’esercito ha aumentato la repressione per punire chi critica le sue operazioni.
• Le autorità dell’Etiopia hanno intensificato gli arresti di giornalisti indipendenti, compresi i blogger della Zone 9.

Per quanto riguarda l’Italia, il panorama è sconfortante.

Siamo rimasti ancorati al 65° posto nella classifica mondiale su 199 paesi, con un punteggio di 31 che c’inchioda tra i “parzialmente liberi” (nell’Unione Europea peggio di noi: Ungheria, Bulgaria, Croazia, Serbia, Romania e Grecia). Vivono in paesi con i media “liberi” circa 400 milioni di europei, mentre altri 100 milioni sono quelli che devono usufruire di media ancora “parzialmente liberi”. Ma le tentazioni censorie in periodo di crisi economica e sociale, le frenesie irrazionali dovute all’intensificarsi della lotta contro il terrorismo fondamentalista e il formarsi di oligopoli e concentrazioni nei media tradizionali e nelle TLC stanno spostando anche altri paesi dell’UE dalla classifica di “liberi” a quella di “parzialmente liberi”.

Nella parte riguardante l’Italia, il Report si sofferma su alcuni dei mali che affliggono il nostro paese in questo settore delicato, il “ventre molle” del sistema democratico. Nonostante l’uscita di scena parziale di Berlusconi, in seguito al defenestramento politico del 2011 e alla condanna per frode fiscale, il panorama resta comunque preoccupante. L’Italia soffre di una concentrazione insolitamente alta della proprietà dei media a livello locale e nazionale. E la Legge Gasparri del 2004, lamenta il Report, “ha abbassato la soglia di concentrazione in modo che Berlusconi è stato in grado di mantenere il controllo sul mercato dei media privati. Nonostante le numerose critiche, la legge Gasparri è ancora in vigore, e la legge sul conflitto di interessi è carente. L’instabilità politica degli ultimi anni ha impedito qualsiasi riforma sistematica della proprietà nei media radiotelevisivi”.

Oltre alla scarsa trasparenza per le nomine dei membri dell’AGCOM, l’authority che regola il sistema dei media e delle comunicazioni, si nota nel Report l’anomalia tutta italiana del rapporto tra governo, partiti e RAI. “L’interferenza politica nelle operazioni e nei programmi della RAI, l’emittente pubblica, ha anche contribuito a minare la libertà dei media in Italia. Dal momento che Berlusconi si è dimesso da primo ministro nel novembre 2011, la pressione politica è diminuita, ma è tutt’altro che assente”.  E si criticano così le procedure di nomina del CDA, dei direttori e di “altre posizioni chiavi del personale”, ovvero la lottizzazione e cioè, per dirla all’americana: “dividere il bottino”!

Nonostante tutto, “Berlusconi controlla ancora una quota significativa dei media privati, in quanto principale azionista di Mediaset, che possiede diversi canali televisivi; è il più grande editore di riviste del paese, Mondadori, e detiene Publitalia, la più grande società pubblicitaria in Italia. Publitalia controlla il 65% del mercato pubblicitario televisivo, dando ai canali di Berlusconi un vantaggio nell’attrarre le inserzioni. Nel settore televisivo, oltre il 90 per cento del fatturato totale è detenuto da tre soli operatori: Sky Italia (32%), Mediaset (30,2%) e la RAI (28,5%)”.

Secondo Freedom House: “L’ambiente della stampa italiana deve ancora affrontare una serie di sfide, come le sanzioni penali per la diffamazione, l’interferenza politica sulla radiodiffusione pubblica e la proprietà dei media altamente concentrata”. La diffamazione è ancora un reato penale e nel 2013 ha colpito 83 giornalisti. Il disegno di legge in discussione al Parlamento non alleggerisce più di tanto l’aspetto censorio del provvedimento, non contemplando ad esempio le cosiddette “querele temerarie”.

I giornalisti a volte devono affrontare minacce fisiche o attacchi dalla criminalità organizzata e da altri gruppi politici o sociali. Nel 2013, nota il Report, che riprende una ricerca effettuata da Ossigeno per l’Informazione: “149 giornalisti hanno ricevuto minacce, 63 sono stati aggrediti fisicamente, e 15 hanno avuto il loro equipaggiamento danneggiato. Nessuno di questi incidenti ha provocato morti e feriti critici. Molti altri giornalisti hanno continuato a vivere sotto la protezione della polizia a causa del loro lavoro sulla criminalità organizzata, tra cui Roberto Saviano e Rosaria Capacchione, che ha scritto sulla camorra, e Giovanni Tizian, la cui vita è minacciata dalla ‘ndrangheta. Federica Angeli, una giornalista di Repubblica, ha vissuto sotto scorta dal luglio 2013 a causa di minacce di morte che ha ricevuto per la sua indagine sulla spartizione della costa a Sud di Roma tra le mafie con la complicità di politici locali”.
Il Report si sofferma anche sulla praticabilità dei giornalisti di ottenere documenti ufficiali più o meno secretati: “Il diritto di accedere alle informazioni non è incluso nella costituzione, e l’Italia non ha una legge sulla libertà di informazione, basandosi invece su un patchwork di norme sparse per diversi statuti”, nota Freedom House.

Quindi si registra come “le condizioni di lavoro sono diventate difficili negli ultimi anni; i giornalisti con un contratto a tempo pieno costituiscono solo il 19 per cento della forza lavoro, e c’è un divario di retribuzione significativa tra giornalisti stipendiati e freelance”.
“Sussidi diretti e indiretti per i media stampati, che erano elevati anche per gli standard europei, sono stati significativamente tagliati dai nuovi governi a partire dalla fine del 2011. Tra il 2009 e il 2012, il settore della stampa ha subito un calo del 24 per cento dei ricavi pubblicitari e una diminuzione del 6 per cento nelle vendite”.


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