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Il processo a Mohamed Morsi è il colpo di grazia al sistema giudiziario egiziano

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Personalmente, non ho mai provato alcuna simpatia per la Fratellanza musulmana, un gruppo di fondamentalisti intolleranti e misogini. Nel periodo in cui Mohamed Morsi è stato al potere, nei palazzi di governo ha regnato l’incompetenza, fuori c’è stata la violenza degli ikhwan, le sue squadracce. Ma la sentenza con cui il 21 aprile l’ex presidente deposto il 3 luglio 2013 dai militari è stato condannato a 20 anni di prigione ha dimostrato, ancora una volta, che il sistema giudiziario egiziano sembra essere completamente incapace di celebrare processi equi, soprattutto quando gli imputati sono membri, dirigenti o sostenitori della Fratellanza musulmana.

Morsi è stato condannato per “incitamento alla violenza” e per l’arresto e la tortura di manifestanti durante gli scontri avvenuti al Cairo nel dicembre 2012 tra i suoi difensori e i suoi oppositori, fuori dal Palazzo federale.

Morsi e altri 14 imputati, molti dei quali membri o dirigenti della Fratellanza musulmana o della sua ala politica, il Partito della libertà e della giustizia, erano stati incriminati per vari reati tra cui “omicidio”, “incitamento all’omicidio”, “violenza”, “atti di teppismo”, “diffusione di notizie allo scopo di disturbare il lavoro delle istituzioni giudiziarie” e “minaccia ai civili”.

Anche prima di comparire in tribunale, le speranze di Morsi di ricevere un processo equo erano profondamente compromesse. Nei mesi seguenti la sua deposizione, le forze di sicurezza lo avevano tenuto agli arresti in isolamento, insieme ai suoi collaboratori, in condizioni equivalenti a una sparizione forzata. Durante questo periodo, era stato interrogato dai pubblici ministeri in assenza dell’avvocato, senza poter contestare la legittimità del suo arresto e avere una difesa adeguata, come previsto dalla Costituzione egiziana e dal diritto internazionale. I suoi legali hanno potuto ottenere una copia del documento di 7000 pagine solo dopo aver sborsato una cifra considerevole e pochi giorni prima del processo, iniziato il 4 novembre 2013.

Le indagini sugli scontri del dicembre 2012 non sono state né indipendenti né tantomeno imparziali e si sono concentrate solo sulle violenze commesse dai sostenitori di Morsi. Secondo Amnesty International, sebbene anche i seguaci della Fratellanza musulmana si resero responsabili di atti di violenza, la maggior parte delle persone uccise si riscontrò proprio tra questi ultimi. Nel corso delle prime udienze, è stato impedito a molti dei legali di Morsi di assistere al processo. Il principale avvocato difensore ha potuto incontrarlo solo dopo l’inizio del processo.

Amnesty International chiede che Morsi, il quale deve rispondere di un’ulteriore serie di accuse in quattro altri processi, sia sottoposto a un nuovo ed equo giudizio, da celebrarsi in un tribunale civile e secondo gli standard internazionali, oppure sia rilasciato.


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