Tra i primi a prestare soccorso gli operatori di Amref : “Continueremo ad assicurare presenza ma dobbiamo tutelare anche il nostro staff”. L’allarme di Save the children: dal 2009 diecimila attacchi alle scuole. “Un atto orribile e spaventoso”
ROMA – “Questa mattina abbiamo sentito i nostri operatori a Garissa, sono emotivamente molto scossi ma già da ieri, nelle primissime ore dopo la strage si sono adoperati per dare aiuto. Continueremo ancora a prestare soccorso e a ribadire la nostra presenza lì, anche se ora il livello di sicurezza è molto alto e abbiamo l’esigenza di tutelare il nostro staff”. A sottolinearlo è Roberta Rughetti, responsabile dei progetti Africa di Amref. L’associazione, che ha la casa madre proprio in Kenya, opera con 33 dipendenti a Garissa, la città diventata teatro ieri della strage terrorista costata la vita agli studenti di un college universitario. Il massacro ad opera dei jihadisti somali di Al Shabab, restituisce un bilancio drammatico: almeno 147 i morti, diversi i dispersi e circa 70 i feriti. Molti degli studenti uccisi erano cristiani. “Il nostro personale sul posto ha risposto subito alle chiamate di emergenza – spiega Rughetti – con un medico e due infermiere che hanno prestato i primi soccorsi. Abbiamo attivato anche il servizio di flying doctors, inviando a Garissa un’equipe medica a bordo di tre aerei per aiutare a gestire le vittime e le possibili evacuazioni”.
Dopo lo choc, ora si riflette sulle misure di sicurezza. Nel paese, dove sono attive diverse organizzazioni umanitarie l’allarme terrorismo è ormai al livello di massima di allerta. “Sapevamo che Garissa era una zona sensibile, lo è da tempo, anche per la vicinanza al campo profughi di Dabab, il più grande dell’Africa centrale – continua Rughetti – Chiaramente esistono dei protocolli sicurezza per tutelare gli operatori, oggi però l’allerta è aumentata. In questo momento abbiamo bisogno di tutelare lo staff, che è composto da personale locale – conclude la responsabile di Amref – continueremo a lavorare e a prestare aiuto previa autorizzazione. Ma la nostra presenza rimane anche a Garissa”. Esprime preoccupazione anche Attilio Ascani, direttore di Focsiv, la federazione che racchiude i servizi di volontariato nel mondo. “C’è un accanimento nei confronti della scuola, della cultura e del progresso – sottolinea -. Lo vediamo in questo filo rosso che lega il Pakistan alla Nigeria. E desta allarme anche questa spinta a trasformare in guerra di religione in quello che con la religione c’entra poco. Non bisogna dimenticare che quanto è successo è, in parte, anche una risposta alla guerra dei droni combattuta in Somalia, a cui l’occidente non è estraneo. La Somalia – aggiunge – è stata abbandonata per decenni e ora è un paese che sanguina. Dobbiamo trovare modalità diverse per costruire stabilità, i problemi non si possono risolvere militarmente, ma serve diplomazia e dialogo”.
Allarme Save the children: dal 2009 diecimila attacchi alle scuole in 70 paesi. “L’orribile attacco all’ostello dell’università di Garissa, è spaventoso e ci lascia sgomenti. Il semplice atto di andare a scuola o all’università sta diventando sempre più pericoloso per centinaia di migliaia di bambini e giovani in molti paesi del mondo, con un crescendo di attacchi diretti contro le scuole”. A lanciare l’allarme è Duncan Harvey, direttore di Save the Children in Kenya, che ricorda come già il 2014 si è chiuso con il terribile attacco ad una scuola a Peshawar in Pakistan, nel quale sono morte 141 persone di cui 132 erano bambini. Dal 2009 – ricorda Save the children – ci sono stati 9.500 attacchi nelle scuole di 70 paesi. In Siria, dove 3 milioni di bambini non hanno accesso alle scuole, centinaia di insegnati sono morti e migliaia sono scappati dal Paese, un quarto delle scuole sono state danneggiate o distrutte. Un bilancio simile riguarda anche Gaza dove lo scorso anno 148 scuole sono state distrutte o danneggiate dal conflitto. Anche in Afghanistan ci sono stati 73 attacchi alle scuole e in Nigeria 300 studentesse di Chibok sono ancora nelle mani di chi le ha rapite. “Quando si attaccano le scuole, si nega ai bambini il diritto di essere protetti e poter studiare in un luogo sicuro. Il diritto all’educazione è tanto più fondamentale se vogliamo salvare intere generazioni di bambini colpiti dai conflitti o dalle violenze. Dobbiamo evitare con tutte le nostre forze che si ripeta quanto accaduto oggi in Kenya,” conclude Valerio Neri, direttore di Save the children Italia.