“La voce di chi è più sofferente, di chi sta per naufragare, deve essere raccolta attivamente”. Danilo Dolci, giornalista

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Da Sesana, un tiro di schioppo da Trieste, alla Sicilia profonda di Partinico. Attraversando tutto lo stivale, per illuminare le periferie degradate dalla povertà e dal malaffare del nostro Paese che usciva dalla guerra. Danilo Dolci educatore e sociologo, attivista della non violenza e poeta, “Gandhi italiano”. Ma anche giornalista. Sessant’anni fa, nel ‘55, pubblica su “Nuovi Argomenti”, la rivista diretta da Alberto Moravia, alcuni racconti autobiografici di ragazzi che vivevano nella Palermo più povera: è il lavoro preliminare per il libro “Inchiesta a Palermo”, che nel ’58 gli vale il Premio Viareggio. Subisce per questo dal ministro degli Interni Tambroni il ritiro del passaporto, con la bizzarra motivazione di avere con le sue opere diffamato l’Italia all’estero. Segue persino un processo a porte chiuse per pornografia (…?), lo difende Carlo Arturo Jemolo, lo storico della Chiesa. Al suo fianco altri avvocati, intellettuali, giornalisti, comuni cittadini.

Quarantacinque anni fa, il 26 marzo 1970, dopo un giorno solo di vita (ventisei ore, per la precisione), viene distrutta e sequestrata la “Radio libera di Partinico”, ricordata come la prima radio libera italiana, fondata su iniziativa del Centro studi e iniziative per la piena occupazione da lui fondato a Partinico per dar voce ai “poveri cristi”. Nello stesso periodo, per L’Ora di Palermo, viaggia anche in vari paesi d’Europa e nell’Est, studiando forme di programmazione economica e le relative problematiche sociali, e scrivendo vari articoli su questo argomento. Articoli che saranno pubblicati nel volume “Verso un mondo nuovo” e tradotti e pubblicati in varie lingue. Il che lo farà conoscere e apprezzare anche all’estero in molti ambienti progressisti. Nell’88 Dolci lancia un’iniziativa per la costituzione di un Manifesto sulla comunicazione: avverte infatti i pericoli connessi alla cosiddetta “comunicazione di massa”, al dilagare della televisione e dei nuovi mass-media. Insomma, un anticipatore.

Ma torniamo alla Radio libera di Partinico, al messaggio introduttivo letto da Danilo Dolci dalla piazza del paese: “Qui parlano i poveri cristi della Sicilia occidentale, attraverso la radio della nuova resistenza. Sos, Sos, siciliani, italiani, uomini di tutto il mondo, ascoltate: si sta compiendo un delitto, di enorme gravità, assurdo: si lascia spegnere un’intera popolazione.La popolazione delle Valli del Belice, dello Jato e del Carboi, la popolazione della Sicilia occidentale non vuole morire. Siciliani italiani, uomini di tutto il mondo, avvisate immediatamente i vostri amici, i vostri vicini: ascoltate la voce del povero cristo che non vuole morire, ascoltate la voce della gente che soffre assurdamente. Siciliani italiani, uomini di tutto il mondo, non possiamo lasciar compiere questo delitto: le baracche non reggono, non si può vivere nelle baracche, non si vive di sole baracche. Lo Stato italiano ha sprecato miliardi in ricoveri affastellati fuori tempo, confusamente: ma a quest’ora tutta la zona poteva essere già ricostruita, con case vere, strade, scuole, ospedali”.

Ancora Dolci: “Le mani capaci ci sono, ci sono gli uomini con la volontà di lavorare, ci sono le menti aperte a trasformare i lager della zona terremotata in una nuova città, viva nella campagna con i servizi necessari, per garantire una nuova vita. Gli uomini di tutto il mondo protestino con noi: L’Italia, il settimo paese industriale del mondo, non è capace di garantire un tetto solido e una possibilità di vita ad una parte del proprio popolo. Uomini di governo: lasciate spegnere bambini, donne, vecchi, una popolazione intera. Non sentite la vergogna a non garantire subito case, lavoro, scuole, nuove strutture sociali ed economiche a una popolazione che soffre assurdamente? Se si vuole, in pochi mesi una nuova città può esistere, civile, viva. Chi lavora negli uffici: di burocrazia si può morire. I poveri cristi vanno a lavorare ogni giorno alle quattro del mattino. Occorrono dighe, rimboschimenti, case, scuole, industrie, strade, occorrono subito. Questa è la radio della nuova resistenza: abbiamo il diritto di parlare e di farci sentire, abbiamo il dovere di farci sentire, dobbiamo essere ascoltati. La voce di chi è più sofferente, la voce di chi è in pericolo, di chi sta per naufragare, deve essere intesa e raccolta attivamente, subito, da tutti”.
Quasi un grido disperato: “Qui si sta morendo. La nostra terra pur avendo grandi possibilità sta morendo abbandonata. La gente è costretta a fuggire, lasciando incolta la propria terra, è costretta ad essere sfruttata altrove. Qui si sta morendo. Si sta morendo perché si marcisce di chiacchiere a di ingiustizia. Galleggiano i parassiti, gli imbroglioni, gli intriganti, i parolai: intanto la povera gente si sfa. Qui si sta morendo. E’ la cultura di un popolo che sta morendo: una cultura che può dare un suo rilevante contributo al mondo. Non vogliamo che questa cultura muoia: non vogliamo la cultura dei parassiti, più o meno meccanizzati. Vogliamo che la cultura locale si sviluppi, si apra, si costruisca giorno per giorno sulla base della propria esperienza”.
Meglio di un’inchiesta giornalistica, meglio di un programma politico. Parole forti che rimangono di grande attualità a tanti anni di distanza. E che ci servono per ricordare Danilo Dolci, nato nel ’24 a Sesana, paesino allora in provincia di Trieste, ora territorio sloveno. Slovena e molto religiosa la madre, ferroviere siciliano il padre. Diploma da geometra ma anche maturità artistica a Milano, antifascista (viene anche arrestato a Genova), dopo la guerra studia architettura a Roma e ancora a Milano. Dal ’52 si trasferisce in Sicilia, dove promuove la lotta non violenta contro la mafia e lo sfruttamento della povera gente. Muore nel ’97 a Trappeto, in provincia di Palermo. Vive nel ricordo di chi lo ha conosciuto.


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