di Stefano Corradino
“Me lo ricordo bene purtroppo quando Enzo se ne è andato, due anni fa e due mesi prima della scomparsa di mia moglie Franca. Per me Enzo era un figlio anche se c’era poca differenza di età”. Così Dario Fo ricorda Enzo Jannacci morto il 29 marzo 2013. Recentemente è stato ripubblicato anche un libro a doppia firma Fo-Jannacci, un volumetto di trentadue pagine dal titolo “Ho visto un Re”. Un testo per bambini e non solo visto che nella quarta di copertina c’è la scritta “consigliato dai 6 ai 99 anni”.
Come vi siete conosciuti?
A casa di un editore della Ricordi. E’ lì che abbiamo cominciato a cantare le nostre canzoni. Lui le sue io le mie e abbiamo iniziato a collaborare. Ma è stato tutt’altro che un mero rapporto professionale. Abbiamo cantato e scherzato insieme, abbiamo inventato un modo diverso di fare musica studiando la musica popolare fin dalle sue radici.
Che tipo era Jannacci?
Un personaggio tutt’altro che semplice, una pazzia straordinaria e intelligente. Una fantasia incontenibile, un artista sempre pieno di invenzioni. Enzo non è mai banale. Parlo di lui spesso al presente perché per me non è morto. Lo dico senza retorica, Enzo ce l’ho sempre appresso.
Avete collaborato in canzoni memorabili come “Ho visto un re”, il cui testo è ancora oggi molto attuale.
E’ così, e anche “Vengo anch’io” conserva tuttora una forte attualità. Sono brani che sembrano semplici ma che hanno un grande peso sul piano del rapporto con la società.