Quando si parla di cio’ che si puo’ e cio’ che non si puo’ pubblicare va fatta una premessa. Il giornalista, in quanto lavoratore del settore, non riceve alcun danno dai paletti che gli sono posti. Il suo dovere d’informare e’ meno ampio. Ma di conseguenza lo e’ anche il diritto del cittadino di sapere e dunque di minore rilevanza sociale la professione. Ecco che la levata di scudi sull’annunciata riforma non e’ corporativa,e’ invece la difesa di una funzione fondamentale per la qualita’ della democrazia.Questo soprattutto ha spinto il Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti a votare il documento che sottolinea come a ogni indagine della magistratura, che coinvolge il mondo della politica, tornino a levarsi voci e proposte che mirano a limitare l’esercizio del dovere di cronaca e, dunque, il diritto dei cittadini a essere informati.
Per questo nel corso dell’ultima assise abbiamo ribadito che la tutela della privacy non può essere confusa con il dovere dei giornalisti di pubblicare notizie che siano di rilevante interesse pubblico e sottolineato che “il confine tra vicende private e notizia può essere labile e discutibile in alcuni casi, soprattutto quando si tratta di politici e personaggi pubblici ” e che ” comportamenti anche di non diretta rilevanza penale rivestono talvolta importanza ai fini della conoscenza dei fatti e ,dunque, sono d’ interesse pubblico “.
I bavagli non sono accettabili dovendosi con la trasparenza misurare il tasso di democrazia. Di regole ce ne sono e gia’ tante e per esempio e’ datata la battaglia degli operatori dell’informazione per eliminare il divieto assoluto di pubblicare per riassunto le intercettazioni messe in deposito a disposizione dell’indagato, prima dell’udienza preliminare, cosi’ come e’ antica, ma mi sembra meritevole di essere rilanciata e’ la proposta di celebrazione di un’ “udienza filtro” che scremi le intercettazioni utili ai fini delle indagini , rispetto a quelle che invece non hanno rilevanza. Ricordo l’ipotesi portata avanti dalla Fnsi negli anni passati. Prevede che il il gip individui, d’intesa con il pm e il legale dell’indagato, le intercettazioni che non risultano utili ai fini delle indagini. Queste verranno poste in un archivio riservato, al quale le parti potranno accedere, previa autorizzazione.
Naturalmente andrebbero stabiliti termini precisi per lo svolgimento dell’udienza stessa, che sarebbero sostanzialmente i termini della ‘durata’ del segreto, come sottolineo’ qualche anno fa Roberto Natale in un ‘ intervista a “La Stampa”. Per le udienze che invece richiedono tempi piu’ rapidi, non potendosi quindi attendere la celebrazione dell’udienza filtro, il pm e il gip potrebbero citare nell’ordinanza solo le intercettazioni certamente rilevanti ai fini delle indagini, fissando per il deposito delle altre l’udienza filtro entro un termine ragionevole.
Il presidente dell’ Anm , Rodolfo Sabelli, ha appena dichiarato al “Corriere della Sera “: “Noi siamo contrari alla pubblicazione indiscriminata di cio’ che non e’ attinente al processo. Ma bisogna fare attenzione perche’ gia’ in passato alcuni testi legislativi hanno provato ad allargare a dismisura il perimetro della non pubblicabilita’ degli atti”. Dal punto di vista del giornalista mi sentirei di concordare. Eviti il Parlamento di trascurare quel che i poteri di controllo stanno evidenziando. La stretta sulla pubblicazione delle intercettazioni rischia di diventare la stretta al diritto di sapere.
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