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“1992” doveva farlo la RAI

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Si può raccontare l’Italia, l’Italia quasi contemporanea, in modo cinematografico, documentato e veritiero, descrivendo i fatti e immergendoli nelle atmosfere autentiche del tempo, senza trarne una morale e senza cercare rassicuranti finali, anzi, suscitando molta inquietudine. Si può e si deve. E’ questo che ci dimostra la serie TV “1992”, prodotta da Sky Italia con Wildside e La 7 e preceduta, con una intelligente novità del palinsesto di Sky, da una settimana di eventi tutti legati al 1992 sullo stesso canale che trasmette la fiction. Abbiamo velocemente potuto riportarci a quell’anno fatale ricordando che sui nostri schermi arrivavano “Baywatch”, “Merlose place”, “Beverli Hills”, ma anche  Roberto Benigni con “Johnny Stecchino”. Ricreare l’atmosfera, portare lo spettatore a ricordare dove e come era 23 anni fa.

Sky, quindi, ancora una volta ha centrato il bersaglio. Con una variante più interessante rispetto ai prodotti di grande successo come “Romanzo criminale” e “Gomorra”: questo “1992” è, come si sarebbe detto un tempo, un “originale televisivo”, non ci sono alle spalle precedenti successi editoriali e autori come Franco De Cataldo e Roberto Saviano.

Ho letto da più parti che Mediaset non avrebbe mai potuto realizzare un prodotto del genere, e questo è scontato, e neppure la Rai, troppo coinvolta ancora nei percorsi che sono derivazione diretta di quell’anno fatale. E questa seconda considerazione invece proprio non lo capisco, anzi la capisco perché so di che pasta è fatta la Rai di oggi, ma non la capisco se penso a ciò che ha fatto la Rai di ieri e a quella che dovrebbe ancora essere la missione di servizio pubblico.

Parlo di quello che rappresentò per la Rai e per l’Italia la prima serie de “La piovra”.
Siamo nel 1984, a tre anni dalla clamorosa scoperta della Loggia P2 avvenuta nel marzo del 1981 con una perquisizione dei giudici Colombo e Turone nella villa di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi. E’ un tema caldissimo: per la presenza negli elenchi della P2 si dimisero politici, giornalisti (anche i direttori del TG1 e del GR2), dirigenti dello stato, furono scoperti come affiliati imprenditori, sportivi, medici, esponenti di spicco di ogni settore, da Silvio Berlusconi a Maurizio Costanzo. La commissione parlamentare presieduta da Tina Anselmi aveva appena cominciato il suo lavoro. E la mafia, nello stesso periodo, aveva scatenato una guerra che attaccava direttamente lo stato: morivano in quegli anni Pio La Torre, Piersanti Mattarella, Pippo Fava, Ciaccio Montaldo e soprattutto il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

I telegiornali della Rai, che come si diceva furono colpiti nel vivo dallo scandalo della P2, martellavano di servizi e inchieste ogni giorno, indagavano, combattevano una loro battaglia in difesa della legalità. Ma la fiction era un’altra cosa…

Eppure, dopo le prime due puntate de “La piovra”, che andarono in onda per la prima volta di seguito la sera della domenica e del lunedi sulla rete uno, proprio le redazioni dei giornali si resero conto che stava andando in onda qualcosa di rivoluzionario. Non c’era solo la trama di tipo poliziesco con la caccia ai mafiosi da parte delle forze dell’ordine, c’era la descrizione precisa, puntuale, riconoscibile della collusione del potere e della politica con la mafia e il ruolo di mondi segreti sotto forma di normali associazioni fra professionisti in cui era facile anche per lo spettatore meno informato riconoscere una loggia coperta. Come era la P2. Quella prima serie de “La piovra”, firmata da Damiano Damiani, segnò un’epoca e stupì tutti per il coraggio che aveva avuto la Rai nel produrla e nel difenderla. Le polemiche arrivarono in tempo reale: molte le posizioni critiche del mondo politico democristiano e anche da parte di altri partiti. Era impensabile che la Rai, proprio la Rai, arrivasse a tanto.

In un’epoca in cui il grande successo cinematografico era tutto per le commedia di pura evasione, lo sceneggiato fu anche la prova di un investimento lungimirante, perché questo fu “La piovra”, anche un mai eguagliato successo commerciale. Ma quel che conta è che fu un atto di coraggio del servizio pubblico, e le sei puntate andarono in onda senza ripensamenti, difese a spada tratta dal presidente Zavoli e dal direttore generale Biagio Agnes. Certamente non estranei alla politica, e tuttavia forti della qualità dell’azienda e del prodotto e consapevoli che solo il servizio pubblico poteva osare fino a tanto.

“La piovra” è stata a lungo visionata dagli autori di “1992”, che hanno studiato anche il repertorio giornalistico della Rai del tempo: hanno studiato con fatica quello che la Rai poteva fare con molta facilità avendo in casa il suo prezioso archivio. Nella serie di Sky il filo conduttore è molto spesso la sola voce, senza immagini, di Piero Badaloni, che allora conduceva il TG1 delle 20, e basta questo a far capire come la Rai sia stata protagonista in quel fatale 1992. Anche allora, come nell’84, con coraggio e con senso di responsabilità giornalistica che viene riconosciuta anche oggi.

Eppure, purtroppo, hanno davvero ragione quelli che dicono che questa fiction poteva farla solo Sky, perché oggi, nel 2015, è così. Il servizio pubblico non gioca più la partita del coraggio, dell’essere all’avanguardia, dell’autonomia. Ma leggere come un ritornello che la Rai non potrebbe permettersi una fiction come questa fa un po’ male al cuore e fa pensare al tanto vociare sulla riforma senza mai sentire un ragionamento serio sul prodotto. E’ soprattutto di questo che avrebbe bisogno il servizio pubblico per essere tale, di idee, autori, sceneggiatori, artisti, produttori esecutivi…mi fermo qui, ma aggiungo che prodotti forti e coraggiosi sarebbero una grande risorsa commerciale (le uniche fiction vendute bene all’estero sono state “La piovra”, “Il commissario Montalbano” e “La meglio gioventù”): se li facessero anche solo a questo scopo sarebbe un grande risultato!


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