In occasione della Sunshine Week (una settimana di iniziative dedicate alla trasparenza e all’open government – ce ne siamo occupati anche qui), il Poynter Institute ha raccolto le esperienze più curiose di alcuni giornalisti, maturate dalle loro richieste di accesso sulla base del Freedom of Information Act – FOIA.
Ne scaturisce una breve casistica, insieme a qualche consiglio di massima.
Lisa Song, InsideClimate News: “La mia esperienza più curiosa risale a qualche mese fa, presso gli uffici della Commissione del Texas sulla qualità dell’ambiente. Ho passato tre giorni nella loro sala lettura, e una assistente legale è stata seduta affianco a me tutto il tempo, per accertarsi che non copiassi o trafugassi nessuno dei documenti che stavo consultando – nel qual caso avrei dovuto pagare una multa di 3.400 dollari”.
Alexandra Zayas, Tampa Bay Times, St. Petersburg, Florida: “La peggiore esperienza che ho avuto: vedermi addebitare dal Dipartimento della Salute oltre 10mila dollari di spese per copie di documenti che avrebbero potuto spedirmi in formato elettronico – ma che secondo il Dipartimento non erano pubblici”.
Tyler Dukes, WRAL, Raleigh, North Carolina: “Nel 2013 avevo una richiesta pendente inoltrata all’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale da circa un anno – e si trattava di semplice documentazione relativa a proposte e assegnazione di convenzioni. A metà del processo, mi hanno notificato che la mia pratica era stato trasferita a un altro funzionario. La richiesta è rimasta pendente così a lungo che il funzionario che la stava seguendo era letteralmente andato in pensione.
Melissa Segura, BuzzFeed News: “Le mie esperienze col FOIA sono state segnate quasi esclusivamente da monotonia, burocrazia e tedio – esattamente come è stato previsto che sia.
Dalle varie esperienze emerge anche qualche consiglio utile, sostanzialmente riassumibile nell’essere quanto più tenace e specifico possibile nelle richieste, ma sempre educato: perché nessuno ha voglia di aiutare un rompiscatole.
“Alcune agenzie vedono le lunghe attese come una strategia per evitare le richieste di accesso” racconta Tyler Dukes. “Ma io voglio che sappiano che il prezzo del ritardo sarà per loro avere a che fare, almeno settimanalmente, con le mie e-mail, telefonate, messaggi vocali, ecc. Se non molli, ti prendono più seriamente”.
“Inserendo nella richiesta quanti più termini tecnici, si è sicuri che la stessa finirà in mano a qualcuno di tecnico che capirà di cosa si sta parlando”, suggerisce Lisa Song.
“Sii gentile. Telefona prima. Assicurati che la tua richiesta non sia troppo ampia. Indica al tuo interlocutore dove può trovare i documenti che richiedi, in modo da facilitare e accelerare la ricerca. A fronte di un diniego, cita la legge. Se negano ancora, chiedi a quale eccezione fanno riferimento. A fronte di un altro no, chiedi il nome del tuo interlocutore e del suo capo. Con fermezza, ma sii sempre gentile. Nessuno ha voglia di aiutare un rompiscatole”, cnonclude Nancy Amons (WSMV, Nashville, Tennessee).
E in Italia? Nel Bel Paese si rischia di aspettare anni anche per vedere rinnovato un passaporto, figurarsi nel richiedere documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione. Insistere via telefono o e-mail è sempre consigliabile, ma non è affatto scontato che qualcuno risponda dall’altro lato.
E a volte, sinceramente, si farebbe paradossalmente più bella figura a non rispondere affatto. Il caso dei documenti di Cottarelli sulla spending review può insegnare qualcosa in merito: un dossier prima apparentemente sparito (insieme ai suoi autori) dai radar e dai cassetti sia della Presidenza del Consiglio sia del Ministero dell’Economia; poi recuperato e in corso di editing; e da diverse settimane ormai in attesa di essere pubblicati “a giorni”, come promesso dal ministero dell’Economia nel corso di un question time a inizio marzo. (La vicenda, di cui si è parlato nei principali quotidiani e programmi televisivi e radiofonici nazionali, è tracciata dai comunicati di FOIA.it che l’hanno innescata – qui, qui e qui).
Insomma, in Italia come sempre si vivono situazioni del tutto peculiari. Come quella, riportata qualche giorno fa dal Fatto Quotidiano, che ha visto negare a un gruppo di parlamentari del Movimento 5 Stelle (facenti tra l’altro parte della Commissione Bilancio e Finanza) l’accesso ai 13 contratti derivati stipulati dal Ministero dell’Economia con clausola di risoluzione anticipata per le controparti: «Il motivo? Non c’è “un interesse personale, diretto, concreto e attuale corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento del quale è chiesto l’accesso”.»
La motivazione fornita dalla funzionaria del Tesoro ricalca la normativa attuale (Legge 241/1990) che regola,o meglio limita in modo inaccettabile, l’accesso alle informazioni pubbliche. Una legge che nei fatti contrasta con qualsiasi forma di trasparenza, in primis quelle auspicate dall’attuale governo, dal quale attendiamo ancora fiduciosi che mantenga la promessa di un Freedom of Information Act in Italia.
Da lsdi.it