Merita un approfondimento la questione dell’autocandidatura di Maurizio Landini a leader di un’aggregazione auspicata da tempo a Sinistra. Il segretario della Fiom è certamente una risorsa importante per la difesa dei diritti dei metalmeccanici e il punto di osservazione peculiare ma non vanno eluse alcune anomalie nella forma e nella sostanza della sua proposta. Nella trasmissione “in mezz’ora” di domenica 15 marzo il segretario del principale sindacato delle tute blu ha delineato “un’aggregazione con una funzione politica per battere le iniziative di governo e Confindustria” per poi negare l’intenzione di creare un partito e aggiungere: ”Io faccio il sindacalista e la coalizione sociale parte dal sindacato, voglio che si riformi il sindacato”. Il tema del rapporto tra organizzazioni sindacali e partiti politici è antico, la legittimità di cambiare ruolo sacrosanta ma la posta in gioco impone di sviluppare una serie di considerazioni senza filtro. La “coalizione sociale” in nuce rappresenta un fatto nuovo, forse storico, malgrado germogli tardivamente e su radici popolari meno solide delle primavere di Syriza in Grecia e di Podemos in Spagna. Nel paese che conobbe il più grande e democratico partito comunista dell’Occidente la rinascita di una Sinistra alternativa, plurale e inclusiva forse non potrebbe influenzare nell’immediato l’azione del governo Renzi ma determinare, questo sì, una rivoluzione copernicana nel lungo periodo. La contaminazione sperimentale tra forze sociali, intellettuali e partitiche che si pongano come chiaro orizzonte non soltanto la fine della crisi economica ma l’inveramento di un progresso sociale e ambientale interromperebbe il riflusso italiano ed europeo, la subalternità dell’area socialdemocratica alla dottrina capitalista neoliberale che prosegue inesorabile dal crollo del Muro di Berlino, una sorta di effetto Big Bang sui partiti storici, sempre più frammentati e impotenti. In ragione di queste considerazioni, sarebbe esiziale se l’entusiasmo per il progetto e l’avversione nei confronti delle critiche aprioristiche inducessero a sorvolare su teoria e prassi entro cui è maturata la scelta di Maurizio Landini di lanciare la “coalizione sociale”. Il limbo entro cui prende le mosse l’iniziativa è oggettivamente portatore di ambiguità, sul piano personale poiché lascia aperta la possibilità dell’ingresso in politica e la corsa di Landini alla segreteria confederale della Cgil. Ma anche la dimensione strategica non è chiara, per quanto sia positiva ogni proposta di condivisione dell’impegno civile che il segretario della Fiom ha già proposto a Libera, Emergency e Arci. L’ex direttore de l’Unità Peppino Caldarola, dopo quella del Pd, paventa la perdita anche del sindacato: ”Vuoi vedere che questo sarà un altro terreno che la sinistra lascia e che verrà occupato da cattolici più o meno adulti. Poi non lamentatevi se anche nel mondo confederale verrà fuori un Renzi”.
Quale lavoro?
Quanto al merito delle proposte di Landini che insistono sulla centralità del “lavoro” le perplessità degli osservatori più lincei si concentrano sull’aspetto cruciale della trasformazione del sistema produttivo, sempre meno fordista, e delle nuove disuguaglianze generate dal moderno capitalismo. Lo sfruttamento non si realizza più soltanto all’interno dei tradizionali luoghi di lavoro ma nelle multinazionali e nelle variegate morfologie produttive e commerciali, a domicilio e online, attraverso le quali vengono aggirati a norma di legge diritti e presidi sindacali. Continuano a crescere gruppi di cittadini che un tempo si sarebbero inscritti nella categoria del sottoproletariato: precari, free lance, disoccupati, esodati dalla legge Fornero, studenti in difficoltà, pensionati sociali. Secondo i dati Istat oggi in Italia i poveri sono 10 milioni e nessuno, sia detto impietosamente, ha ancora studiato una proposta organica di ampliamento del welfare, magari prendendo a modello i paesi europei più avanzati. Nel contesto globalizzato, ricorda il caporedattore de L’Espresso.it Alessandro Gilioli sul suo blog “il conflitto è tra il 95-99 per cento di persone che si trovano nelle condizioni produttive più diversificate e strampalate (ma tutte fuori dall’élite economico-politica- finanziaria) e il restante 1-5 per cento, che è appunto costituito dall’élite economico-politica- finanziaria. Mi auguro fortemente che Landini – o chi lo aiuta ad analizzare i processi e ad elaborare le strategie – di questa mutazione epocale sia conscio” (http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/03/15/lelite-e-gli-altri-nel-2015/)
La massimizzazione dei profitti passa ancora dalla “divergenza totale di interessi tra capitale e lavoro”, espressione di Rossana Rossanda che ben sintetizza i rapporti tra le classi sociali, ma anche per nuove e molteplici forme di deprivazione del risparmio dei cittadini, lavoratori e non. Il grumo di interessi dei ceti borghesi dominanti trova sbocchi per la vendita delle proprie merci (beni, servizi o prodotti finanziari) non più nelle guerre imperialiste e colonialiste (cifr. L’accumulazione del capitale di Rosa Luxemburg) ma per mezzo di una strategica gestione dei fenomeni di globalizzazione. Il termine gestione è basilare per comprendere che l’economia non è faccenda soltanto di mercati. Secondo Pierre Dardot e Christian Larval, seguaci di Michel Foucault e autori de La nuova ragione del mondo (Derive Approdi 2013), isempiterni fini della “governamentalità neoliberale” si concretizzano in modo apparentemente innocuo attraverso le modifiche dell’architettura istituzionale degli Stati e delle loro politiche monetarie. Dunque l’economia governa, in modo sempre più diretto senza adeguati contrappesi votati all’interesse collettivo. Negli anni ’90 il capitalismo finanziario impose, in cambio dei prestiti di Banca mondiale e Fmi, nuove privatizzazioni e tagli dello Stato sociale nei paesi emergenti del Sudest asiatico e del Sudamerica i cui governi avevano compiuto la scelta di agganciare le monete locali al dollaro, provocando la crisi delle esportazioni e il crollo della bilancia dei pagamenti. La partenogenesi della cessione di sovranità degli Stati nell’area Euro è databile con l’ingresso nello Sme e si è dipanata mediante la serie di trattati che circoscrivono la gabbia attuale. Mondo accademico, mezzi di comunicazione di massa e le stesse sinistre, salvo la resistenza del Pci all’ingresso nello Sme per bocca di Giorgio Napolitano che prefigurava già l’attuale condizione germanocentrica, hanno instillato la necessità di cedere sovranità statuale. Lungi dalla concezione federalista e solidale di Altero Spinelli, oggi l’Unione monetaria è sprovvista di una guida politica eletta, una banca a funzione pubblica sul modello della Fed, un’armonizzazione fiscale che riequilibri i dislivelli e contrasti i fenomeni di dumping intra-europei fiscali, salariali e sociali.
Etica e sociale
E’ senz’altro lodevole l’impegno di Landini in difesa della sicurezza sui luoghi di lavoro. Il 16 aprile 2011 ha definito “una sentenza storica” la condanna dei vertici della Thyssen Krupp a pene detentive per l’incidente sul lavoro nella fabbrica di Torino che ha causato la morte di sette operai, processo in cui la Fiom si era costituita parte civile. Per quanto riguarda l’Ilva di Taranto Landini si è distinto dagli altri rappresentati sindacali che criticavano il sequestro della aree a freddo dell’acciaieria disposto dal gip Patrizia Todisco: ”Non abbiamo ritenuto utile scioperare contro la magistratura non solo perché è sbagliato ma perché le leggi, la loro applicazione, la difesa di un lavoro con diritti e quindi con una sua dignità, sono l’obiettivo su cui tutte le forze dovrebbero convergere e lavorare” .Se nei casi specifici il segretario della Fiom ha compiuto le scelte opportune, da leader della “coalizione sociale” dovrebbe considerare che la Politica non s’esaurisce nel concetto di legalità, minimo comun denominatore degli individui perbene, siano liberali, conservatori, socialisti o comunisti, ma abbraccia il quadro organico delle condizioni economiche e sociali, compreso lo sviluppo del settore acciaio, fondamentale per la politica industriale di un Paese.
Secondo Landini, si legge sul Fatto Quotidiano, la coalizione sociale è “un soggetto che in prospettiva punta a offrire in collaborazione con associazioni come Libera e ong come Emergency servizi indispensabili che stanno diventando troppo costosi, come le cure mediche”. Seppur pronunciato in buonafede e in riferimento alla meritoria opera dell’associazione presieduta da Gino Strada, il concetto delle “cure mediche troppo costose” risulta pernicioso, poiché coincide con il mantra di certi poteri finanziari che vorrebbero privatizzare la Sanità, settore individuato come nuova terra di conquista. L’ amministrazione Obama, influenzata da visioni economiche ispirate al keynesismo (fra cui si segnala la radicale proposta della Modern Money Theory) sta conducendo gli Stati Uniti a livelli di civiltà europei: dal 2010 al 2012 la spesa per la Sanità pubblica è aumentata in media del 2,5%, più di quella privata e del Pil, che nello stesso periodo è cresciuto del 2,2% Al completamento della riforma, si calcola che la copertura sanitaria sarà estesa a 30 milioni di americani. Al contrario in Italia Mario Monti, l’ex premier gradito alle tecnocrazie europee già commissario Ue e consulente di Goldman Sachs, dichiarava nel novembre 2012:”La sostenibilità futura del Servizio sanitario nazionale potrebbe non essere garantita”. Un altro fattore di affinità, molto meno preoccupante, è la lotta alla corruzione, che il segretario della Fiom ha definito “più importante che abolire l’articolo 18 per far ripartire l’economia”. Giudizio condivisibile, tuttavia si tratta di ambiti completamente diversi. Nei discorsi accalorati di Landini spesse volte occorrono queste traslazioni concettuali che suscitano l’indignazione dell’ascoltatore senza affrontare i fattori separatamente e approfonditamente. Una questione culturale previene però l’aspetto formale e metodologico. Il sistema capitalista, anche se venisse depurato da una percentuale di sacche d’illegalità, non muterà la propria escatologia, non si farà cioè promotore dell’ armonia sociale e del benessere comune. Esemplificando, la Sinistra italiana si sofferma sul contrasto all’evasione fiscale e timidamente propone tassazioni patrimoniali una tantum mentre in Francia esiste già un’imposta progressiva e periodica sui capitali sul modello della proposta di Thomas Piketty che ricomprende redditi societari, da brevetti, la rendita fondiaria e la ricchezza finanziaria. D’altronde gli allarmi per piaghe come evasione e corruzione giungono sovente da soggetti del calibro del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco e dallo stesso Mario Monti, rappresentanti di quella bilanciofobia responsabile dell’impoverimento della classe media. Le petulanti campagne antiCasta contro gli sprechi della politica e delle amministrazioni si associano più o meno implicitamente a editoriali favorevoli alla privatizzazione di reti strategiche, servizi e beni pubblici, meglio se contestuali a scandali giudiziari, problemi funzionali, o semplicemente oggetto di ricorrenti concezioni antiscientifiche. Lo si può riscontrare nella chiusura degli Opg, la cui logica basagliana di scaricare su famiglie e società i malati psichici si fonda sul teoria di deriva destinale inscritta nella subcultura di Heidegger. Lo ha ricordato efficacemente Massimo Fagioli su Left Avvenimenti del 28 febbraio 2015:”http://www.scuolanticoli.com/page_Massimo_Fagioli_02.htm .
A fine novembre, a Reggio Emilia, Maurizio Landini ha assistito ad un confronto senza filtro tra il direttore de La Repubblica Ezio Mauro e la professoressa Mariana Mazzucato, una delle poche studiose in grado di rovesciare la prospettiva da un punto di vista culturale, spiegando l’inconsistenza della teoria bilanciofobica che considera lo Stato alla stregua di un azienda o di una famiglia. Mazzucato postula policy innovative nelle quali il sistema pubblico è lungimirante propulsore dell’economia nei settori qualificanti per il progresso reale della società e dell’ambiente. La stessa amministrazione Obama, grazie ai consiglieri postkeynesiani della Mmt, ha aumentato gli investimenti pubblici raggiungendo il 10% del deficit rispetto al Pil, oltre il triplo del consentito nell’area euro. Al termine dell’incontro della Mazzucato Landini ha commentato: “Ne penso bene, certo. Peccato che si tratti di concetti che non esistono. Semplicemente sono estranei ai politici italiani”. Sarà. Non è forse da idee emancipate e ambiziose, come il “siate realisti, chiedete l’impossibile” degli anni ’70 o se si vuole il più moderno e politically correct“stay hungry, stay foolish”, che il progetto progressista potrebbe ripartire nella parte resiliente e inclusiva che non si è perduta per le strade del carrierismo, dell’isolato snobismo o della miope divisione? (https://stefanosantachiara2.wordpress.com/2014/12/02/mazzucato-la-forza-delle-idee-al-servizio-del-progresso-della-societa/)
Il potere mediatico
Maurizio Landini ha un rapporto particolare con l’immagine. Chi si è occupato del servizio d’ordine per il sindacato e i partiti ha ricordato come fossero fuori luogo le sue urla ai poliziotti durante gli scontri coi lavoratori delle acciaierie di Terni, per di più in favor di telecamera. Landini è frequentemente ospite di trasmissioni televisive da quando nel luglio 2010 ascese a segretario del principale sindacato dei metalmeccanici in luogo di Gianni Rinaldini, tuttora suo mentore. In questi anni il leader della Fiom ha condotto battaglie in fabbrica e nei tribunali civili contro i vertici della Fiat ma queste, assieme alle altre vertenze dei metalmeccanici, non motivano a sufficienza una tale sovraesposizione mediatica. Maurizio Landini, ad esempio, è stato ospite ad Annozero nelle seguenti date: 24 novembre 2011, 19 gennaio 2012, 1 marzo 2012, 29 marzo 2012, 17 maggio 2012, 15 novembre 2012, 17 gennaio 2013, 25 aprile 2013, 10 ottobre 2013, 21 novembre 2013, 9 gennaio 2014, 27 marzo 2014, 1 maggio 2014, 23 ottobre 2014, (Announo) 13 novembre 2014, 22 gennaio 2015.
Anche a destra non mancano esempi di presenzialismi che hanno aperto il varco al salto dal sindacato alla politica. E’ celebre il caso dell’ex governatrice del Lazio Renata Polverini, prezzemolina a Ballarò quando vestiva ancora i panni di segretaria dell’Ugl. Mutatis mutandis, a Sergio Cofferati nel 2002 non venne riservato analogo spazio televisivo nonostante fosse il segretario della Cgil che portò in piazza al Circo Massimo 3 milioni di persone contrarie all’abolizione dell’articolo 18. Malgrado il grande seguito e il fatto che da più parti, compreso l’animatore dei Girotondi Nanni Moretti, venisse indicato il nome di Cofferati come nuovo leader di una Sinistra sconfitta e succube del berlusconismo imperante, il “cinese” fu espunto dalla politica nazionale. Cofferati, che venne prima affiancato a Prodi e poi dirottato a Bologna, scontò non solo l’ostracismo del moderatismo ulivista ma l’ostilità personale di chi avrebbe potuto sostenerlo come D’Alema, con cui ebbe un teso confronto televisivo proprio a Ballarò.
Lo stesso processo di isolamento ha riguardato la spinta propulsiva della Modern Monetary Theory nel campo dell’Economia politica. Per anni, alle singole voci di sinistra radicale e alla minoranza di economisti di area postkeynesiana sono stati negati quegli spazi democratici propedeutici alla diffusione dei risultati dei loro studi. Solo di recente, dopo un breve collegamento a Otto e mezzo su La7, Mariana Mazzucato è stata intervistata nel programma Rai di Riccardo Iacona ‘Presa Diretta’. Se il pioniere dei no-euro Alberto Bagnai si sta ritagliando momenti mediatici, restano ancora off-limits economisti eterodossi come i marxisti Emiliano Brancaccio, Marco Veronese Passarella e Vladimiro Giacchè, i post-keynesiani come Sergio Cesaratto e Gennaro Zezza. E oltre ai tanti nomi del presente, vale la pena segnalare come sia andato dimenticato anche il pensiero dei grandi nomi dell’accademia italiana come Piero Sraffa, Federico Caffè, Paolo Sylos Labini, Augusto Graziani e Pierangelo Garegnani. L’egemonia culturale della scuola di Chicago, nel mondo accademico e nell’agenda politica occidentale, si è affermata nella seconda metà degli anni ’70, mentre nell’Est Europa iniziava a spirare la crisi del Socialismo reale, ad ovest la resistenza ‘ democratica’ era rappresentata da Pci e dai socialisti francesi mentre il premier inglese Thatcher lanciava il suo distruttivo “Tina” (There is no alternative) piegando le Trade Unions, riducendo le tutele sociali e detassando i ceti abbienti. Il Potere, come sintetizzato mirabilmente da Michel Foucault, esercita un controllo diretto o indiretto sulle fonti del sapere, nei luoghi di detenzione, nelle scuole e dunque nel circuito mediatico, il cui apogeo pervasivo è rappresentato dalla televisione (cifr. Pier Paolo Pasolini e Noam Chomsky). Va da sé che il sistema della comunicazione incida nella selezione dei contenuti attraverso processi di manipolazione e con particolare attenzione al linguaggio. La parola “pubblico”, lo ricordava Mazzucato nel dibattito succitato, ha assunto nel tempo un’accezione negativa, legata a scandali e sprechi. Le misure di austerity, strumento distruttivo della governamentalità neoliberale, vengono definite “riforme”, termine che invece era stato coniato per esprimere il progresso sociale ottenuto sull’onda dei movimenti del ’68 e grazie all’impegno di Pci e Psi.
Renzi è il prototipo politico di questo genere di comunicazione, abile ad appropriarsi di espressioni per modificarne il senso, certamente innovatore nell’uso dei social network ma anche presenzialista in televisione. E’ interessante valutare la triangolazione polemica tra Marchionne, Renzi e Landini. L’amministratore delegato di Fca, al pari del gotha dell’industria e della finanza, ha sostenuto e sostiene Matteo Renzi. Da notare però che nei mesi decisivi, prima della scalata del Pd e del governo dell’allora sindaco di Firenze, si rese protagonista di un improvviso botta e risposta, sussiegoso e teatrale. Dopo alcune critiche di Renzi sui mancati investimenti della Casa torinese, nell’ottobre 2012 Marchionne definì l’ex boy scout di Rignano sull’Arno la “brutta copia di Obama che pensa di essere Obama” e “sindaco di una piccola città”, quest’ultima dichiarazione smentita due anni dopo dalla agenzie di stampa perchè frutto di un “equivoco”. Agli occhi dell’opinione pubblica Renzi è sempre stato il nemico numero due di Landini, dopo Marchionne. Eppure il sindaco fiorentino e il sindacalista reggiano hanno tradito una certa sintonia, non solo quando sono stati immortalati in atteggiamenti confidenziali e amichevoli. Il 29 agosto 2014, sul Corriere della Sera, il segretario della Fiom ha ufficializzato un’apertura di credito: “La forza di Renzi sta nel consenso che ha saputo cogliere perché, dopo 20 anni di governi che non hanno affrontato i veri problemi, lui ha incarnato per la gente il cambiamento. Ho apprezzato la scelta degli 80 euro, che va confermata, e la tassazione delle rendite finanziarie. Non mi è piaciuta l’estensione dei contratti a termine e non mi convince molto la riforma istituzionale e elettorale”. Riavvolgendo il filo, il percorso di Landini è quasi simultaneo a quello di Renzi. Mentre il sindaco di Firenze organizzava alla Leopolda, a partire dal 2010, anno dopo anno, il congresso fai da te alternativo a quello del partito con cui ha gettato le basi per la scalata del Pd al grido della “rottamazione” della classe dirigente, il segretario della Fiom duellava sulle reti televisive col convitato di pietra Marchionne e con chiunque gli capitasse a tiro. Le rispettive epopee televisive si sono nutrite di polemiche forti. D’altronde la regola cardinale del marketing, “purchè se ne parli”, aderisce alla logica degli opposti che in politica si attraggono: l’attacco reciproco espande lo spazio offerto dai media ai contendenti. La tesi secondo la quale certe polemiche “fanno auditel” non pare tuttavia sufficiente a spiegare la ragione di ostracismi speculari al presenzialismo esasperato. Landini è stato paragonato a Salvini per i toni accesi e le argomentazioni semplici, oltre che per la felpa. Il retroterra culturale e la credibilità dell’esperienza sindacale di Landini sono naturalmente distanti dal mondo del leader della Lega nord ma Salvini, come già Grillo, continua a riempire il vuoto politico-mediatico a Sinistra. La chiave di volta è la miscela di populismo e benaltrismo che consiste nel denunciare le ingiustizie sociali reali senza alcuna analisi concreta, mescolandole e motivandole con fenomeni diversi che alimentano “guerre tra poveri”, non senza elementi di razzismo, omofobia, misoginia e quant’altro decadimento civile. Resta dunque da chiedersi perchè, mentre questi soggetti che si dipingono anti-sistema campeggiano su video, radio e giornali, anche nella campagna per le Europee del maggio 2014 sono state ridotte al lumicino le presenze de “L’Altra Europa” di Tsipras. La coalizione non aveva ancora vinto le politiche in Grecia e gli omologhi italiani non potevano far pesare precedenti consultazioni elettorali, ma dal punto di vista giornalistico la rivoluzione culturale di Syriza doveva essere già considerata il fenomeno europeo che avrebbe aperto scenari di possibile emancipazione dall’austerity strumentale alla governamentalità neoliberale. Forse a Landini, in caso di candidatura, toccherà lo stesso trattamento. O forse no.