“Sono passati venti anni e io lo ricordo come fosse ieri. Il corpo di mio padre era riverso sulle scale del portone di casa. Aveva denunciato truffe nel suo ufficio nove giorni prima con un esposto in Procura. Lo hanno ammazzato mentre rientrava a casa.” Il padre di Daniela si chiamava Francesco Marcone, era direttore dell’ufficio del Registro di Foggia. Aveva scoperto casi di corruzione e li aveva denunciati. “Ci diceva sempre che lo stato siamo noi, ricorda Daniela, e ci credeva davvero.” Quello di Francesco Marcone è un omicidio di mafia, questa è la sola certezza cui sono arrivate le indagini complicate dalla morte misteriosa dell’unico indagato per aver ceduto l’arma del delitto e dal silenzio della parte sana di Foggia che, come afferma il magistrato Lucia Navazio “non volle collaborare”.
Una storia di mafia e di corruzione che oggi è terribilmente attuale, come dimostrano le indagini su mafia capitale, le inchieste che travolgono ministri e funzionari dello stato, mentre il parlamento non riesce a varare la legge sulla corruzione presentata da Piero Grasso appena entrato al Senato. “Dopo 20 anni questa storia va raccontata di nuovo. Noi possiamo opporci alla corruzione, ma lo Stato deve darci una risposta. Una risposta contro la corruzione lo Stato la deve a mio padre.” Daniela cerca la verità da allora, da venti anni, “per liberare mio papà” dice sottovoce con un sorriso determinato. Alle sue spalle c’è l’interno affollato del Duomo di Bologna. Seicento familiari di vittime innocenti di mafia, come Daniela, sono arrivati insieme a portare la primavera, una primavera di giustizia e di speranza dice Don Luigi Ciotti terminando la veglia di preghiera: “La storia d’Italia oggi è in questa chiesa. La storia dell’Italia che ha scelto di non girarsi dall’altra parte”. Inizia così la ventesima edizione della giornata della memoria e dell’impegno promossa da Libera.
I nomi delle vittime innocenti di mafia vengono letti uno ad uno e rimbalzano tra le colonne del duomo. Libera ha contato settecento novantanove nomi, vittime senza colpa delle mafie, ammazzati in due secoli. Una ricerca importante scritta in un libro che si chiama semplicemente “memoria”. La prima vittima nel 1893, ma la quantità maggiore si concentra tra gli anni Ottanta e Novanta del 900, col picco di 41 omicidi nel 1982, fino ai giorni nostri. “Una ricerca difficile, lunga e dolorosa” si legge nel libro fatto di nomi e di storie che raccontano che la mafia uccide senza fare distinzioni. Ci sono 15 persone immigrate in quell’elenco come El Hadji Ababa, un ragazzo del Ghana, 26 anni ucciso nel settembre 2008 dal clan dei casalesi nella strage di Castelvolturno. Ci sono i nomi di ottantatré tra bambini e ragazzi uccisi dalle mafie, come Salvatore e Giuseppe Asta ammazzati da una autobomba destinata al sostituto procuratore di Trapani Carlo Palermo. “La storia di Barbara, di Giuseppe e Salvatore dimostra che la mafia riguarda tutti noi. Mia madre a 31 anni accompagnava i miei fratelli di sei anni a scuola. La sola colpa di mia madre era questa, la sola colpa dei miei fratelli era di andare a scuola. Io sono salva per caso. La mafia colpisce tutti, siamo noi che dobbiamo decidere da che parte stare”. Margherita Asta ha lasciato Trapani per vivere in Emilia. Anche lei oggi è venuta a Bologna a portare la primavera. “Questi ottocento nomi sono l’italia, certo, ma questa Italia non è un paese democratico se il 70 per cento di queste storie non ha un perché, non ha giustizia, e la mia storia è una di queste.”
Il 75 per cento dei familiari non conosce la verità sulla morte dei loro cari, non sanno perché, non sanno chi è stato. Libera ha scavato nella memoria e ha scoperto anche questo, forse il dato più clamoroso di questa tragica storia d’Italia. È per questo che i venti anni della giornata della memoria e dell’impegno si celebrano a Bologna. L’ultima delle stragi, la più sanguinosa con 81 morti e 200 feriti, in questa città ha ancora la sua eco assieme alla richiesta di verità e giustizia. Se è vero che qui sono stati condannati gli esecutori, i neofascisti Fioravanti, Mambro e Ciavardini, nulla si sa dei mandanti. E delle altre stragi che hanno insanguinato l’Italia si sa ancora meno. Scrive Libera: “Insieme alle centinaia di vittime innocenti delle mafie, ricorderemo le vittime della strage alla stazione di Bologna, le vittime della strage di Ustica, dell’Italicus, del Rapido 904 e di tante altre stragi. Non c’e’ una strage in Italia della quale si conosca la verità. Il nostro è un Paese di stragi ancora in gran parte impunite e avvolte in presunti misteri, un Paese che troppe volte non ha garantito verità e giustizia, due parole gigantesche che non procedono separate e che soprattutto hanno bisogno di essere illuminate con la nostra coerenza, il nostro coraggio, il nostro impegno”.
In questo primo giorno di primavera, quei settecento novantanove nomi rimbalzano nei vicoli di Bologna. La città aspetta migliaia di persone per ricordare, per dedicarsi alla memoria e all’impegno che dobbiamo assumere. Dice Margherita Asta: “Ascoltare quei nomi è un pugno nello stomaco. Ma quel pugno nello stomaco deve trasformarsi nell’impegno quotidiano. Il 21 marzo deve essere ogni giorno, per onorare la loro morte, ma soprattutto per onorare il nostro essere cittadini.”
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