di Rocco Luigi Mangiavillano
Sarebbe ora! Mandiamoli a casa. Ma una casa vera, però. Fatta di calce e mattoni veri, non disegnati sulle lamiere di un container. Con la luce, l’acqua, pure quella calda, il gas e perfino il riscaldamento con i termosifoni, così da non morir di freddo o per i veleni di una maledetta stufa difettosa, killer, nelle cronache di tante notti gelide finite in tragedia. I fuochi dei copertoni, meglio di no. Non sono una buona alternativa. Mandiamoli in una casa vera con il bagno e una vera cucina, con una camera da letto, veri mobili, qualche fiore colorato che si affaccia ad un balcone e una vera cameretta per i bambini, con i giocattoli sparsi nel solito «perfetto» disordine. I bambini, si sa, sono sempre bambini! Mandiamoli a casa, per Dio! Ma una casa in una palazzina vera che si trovi in una vera via o piazza, con un numero civico vero. Un cap e una cassetta per la posta con i nomi scritti sopra, anche a penna, quelli veri. Il riconoscimento dell’identità, oltre che con una carta, con fotografia appiccicata sopra, passa anche da qui. Nuovi vicini da incontrare sul pianerottolo, la mattina presto, mentre tengono per mano la mano dei figli, infiocchettati come bonbons nei loro grembiuli, con tanto di cartella e cestino con la merenda, pronti per la scuola. Scendere insieme qualche piano in ascensore, anziché calarsi dalle grondaie, e via fuori dal portone ciascuno per andare incontro alla sua giornata. Home sweet home!
Ma non mandiamoli solamente a casa. Loro, non aspettano altro. Mandiamoli anche a scuola, a studiare. Pensa se a giugno, prima delle vacanze, stiamo ringraziando una maestra, rom, proprio lei, quella che ha seguito nostro figlio cosi bene… come fosse stato il suo! Allora, mandiamoli anche al lavoro, mandiamoli a prendere un metrò, naso contro naso, o su un autobus, magari a guidarlo. Perché no?! Ma si, mandiamoli anche al supermercato. Dentro stavolta, a fare la spesa. Potremmo incontrarli tra gli scaffali oppure anche alla cassa a chiederci il conto per i nostri acquisti. Paghiamo e con un sorriso prendiamo il resto, lo scontrino e… grazie e arrivederci. Normale!
Mandiamoli all’ospedale, a curarsi come tutti, per scoprire che si ammalano come noi e come noi soffrono se si ha male da qualche parte e piangono, proprio come noi, se un nostro caro non se la sta cavando niente affatto bene. Il mal di denti, si sa, non guarda in faccia proprio nessuno e quelli d’oro, di denti, non possono farci proprio nulla. E nel tempo libero? Mandiamoli a teatro, in libreria, al museo o in giro per la città, in pieno centro, a fare shopping… «Ehi tu, ehi signore, sir, sir… ti è caduto questo», al turista che smarrito ma felice lo ringrazia in quasi tutte le lingue del mondo mentre ripone in tasca, stavolta con molta attenzione, ciò che aveva smarrito un minuto prima. E pensare…
Mandiamoli a ballare a sentire un concerto. Certo la musica ce l’hanno proprio nel sangue, le danze poi…! Mandiamoli al cinema a vedere un film o anche a farlo. Per la parte dei cattivi, imbroglioni e furfanti di ogni risma, sono i figuranti più richiesti. Per le scene di degrado, poi, non ne parliamo! Ma è proprio quando bisogna «girare» un genocidio, allora si che l’interpretazione del ruolo raggiunge il livello più alto. Il pubblico si commuove, si stringe, qualcuno piange. Per morire sono gli attori più bravi del mondo.
Beh, allora mandiamoli anche in piazza, a manifestare e protestare anche, ogni qualvolta c’è qualcosa che in questo mondo proprio non va. Tutte le volte che c’è bisogno di far sentire la propria voce. E se li mandassimo anche a votare? Sì, alcuni già ci vanno… anche alle primarie. Allora possono esprimere le loro opinioni politiche, organizzarsi come parte sociale, darsi rappresentanza mettendosi d’accordo tra loro e partecipare alla vita pubblica, contribuire agli interessi della collettività, proporre miglioramenti sociali e tutelare i beni comuni. Costruire con gli altri un mondo da abitare insieme, uomini e donne, ricco di tutte le differenze possibili. Scegliere liberamente, per chi ci crede, ciascuno il proprio Dio da pregare.
A questo punto solo un dubbio. Se a furia di volerli mandare continuamente a casa, senza specificare quale, i rom sono diventati nomadi per colpa nostra?
Ps: l’articolo racconta le mille voci che ho incontrato nei campi e insediamenti rom della Capitale.
(pubblicato su Confronti di marzo 2015)
Da confronti.it