Il capo del Governo preannuncia la rivoluzione della “più grande industria culturale del paese”, definizione acriticamente abusata del servizio pubblico radiotelevisivo . Di certo , un concetto sempre più improntato ad una valutazione quantitativa , anzichè qualitativa. Sarebbe giusto e doveroso che la politica , dopo averla impoverita e usata con pratica neocoloniale e spirito proprietario , si facesse finalmente carico del necessario restauro della RAI degli italiani. Per ora , siamo fermi alle “linee guida” , singolare modello di doppia lettura governativa in tempi di insofferenza per le lentezze del parlamento.
Questo promette Matteo Renzi , politico promettente in entrambi gli usi della parola : un astro nascente della politica , per ora l’unico , ma anche un immaginifico snocciolatore di promesse. Ognuno dei suoi pirotecnici annunci produce l’effetto di dividere in due gli italiani : tra di loro , ed ogni italiano al proprio interno. Una parte che segue affascinata la autocompiaciuta concretezza , il ritmo incalzante , il coraggio del ” verso che cambia” ; ed un’altra che si ribella alla prima , e scivola nello scetticismo .
Se questo è un po’ ovunque il gioco della politica -dividere gli elettori nel giudizio tra le parole ed i fatti – da una ventina d’anni nel nostro paese ne è l’essenza .E , con essa , il destino degli elettori italiani. Ma c’è una terza opzione ,tra il dire e il fare , che mette d’accordo tutti i soggetti della politica , il nominare .
Non è un caso se , della preannunciata rivoluzione radiotelevisiva , a colpire la curiosità e l’interesse sia soprattutto il profilo della rinnovata struttura di governo , e all’interno di questa la promessa della nomina di un amministratore unico , di un grande ed unico capo. Un po’ per il fascino agonistico dei nomi rispetto alle procedure e sulle strutture , un po’ perché là dove ci sono nomine da fare , la politica è sempre presente , avida ed egocentrica . Nomina di tutto , la politica , con una vocazione estensiva ed espansiva che pare irrefrenabile .
La decisione del capo del governo – sul piano teorico ,e quindi indipendentemente dalla inequivoca posizione della Consulta circa il rapporto del servizio pubblico con il parlamento e l’esecutivo-, la decisione di attribuire a sé questa scelta è sulla carta una apprezzabile assunzione di responsabilità , tecnicamente degna di un uomo di .Stato . Anche se non è facile capire come si possa far valere ,ed eventualmente sanzionare , nel rapporto tra cittadini e governo , una responsabilità non adempiuta.
Resta da comprendere sulla base di quali regole e di quali criteri il presidente del consiglio vorrà procedere a questa eventuale investitura , che ha dei tratti particolari di complessità : fatta di capacità gestionali , di spessore culturale , di conoscenza delle tecniche di comunicazione e della storia del nostro paese e del suo popolo , di interna autonomia , e di tanto d’altro . Quasi come immaginare un capo di governo .Fino ad oggi ,nella sua breve esperienza di capo dell’esecutivo , Matteo Renzi ha nominato tanto e volentieri – ministri , amministratori pubblici , funzionari – senza per la verità dare mostra di voler innovare una tendenza improntata da sempre , nel metodo , alla piena discrezionalità del nominante e , nel merito , alla limitata indipendenza dei nominati . Una miscela che da sola , applicata all’enorme superficie del paese coperta da nomine politiche , dà ragione del modesto grado di competenza , di coscienza del servizio pubblico e , soprattutto , di autonomia di gran parte della dirigenza allargata del paese . E quindi il modesto ,talora imbarazzante grado di efficienza complessiva del paese , non solo pubblica , grazie alla progressiva estensione dei tentacoli di governo e parlamento ,e quindi dei partiti.
C’è un problema grande come un macigno , davanti a Renzi. Fino ad oggi , da quando è repubblicana , la nostra politica ha proceduto alle sue nomine , anche le più delicate – ma , per il valore che ha l’insieme , sono tutte delicate -, con un’ impronta primordiale , che non mostra segni di una pur graduale evoluzione. Nominare – per i nostri partiti , governi o camere – è un atto , non un procedimento che si conclude con un atto , e per la sua ordinaria estemporaneità ricorda il gesto del prestigiatore che estrae un coniglio dal cappello. Un gesto quasi magico , che poco ha a che fare con una responsabilità tra le più complesse , con un vero e proprio lavoro specialistico e di interesse generale . Chi nomina dovrebbe togliere la propria foto davanti a sé ,ed immaginare i molti milioni di italiani che costituiscono il ” popolo sovrano” , espressione retorica che oggi fotografa una comunità cui si concedono trentasei ore d’aria nei giorni delle elezioni , con il trucco : i loro rappresentanti , gli eligendi sono già stati scelti da altri . Un grande e scientificamente coltivato conflitto di interessi , solo attenuato dalla legge elettorale in gestazione .
Il tema della selezione della dirigenza vasta come emergenza del paese non è stato fin qui affrontato dal capo del governo Sono pochi gli elementi per capire se Matteo Renzi convenga sull’importanza di una svolta integrale , nel metodo , nel ruolo da attribuire al merito , nell’individuazione della platea degli interessati , nella ricerca della terzietà , merce sempre più rara , anche per i frutti che procura a chi la pratica .Pochi, questi segni , e assenti nelle nomine fin qui fatte.
Applicare questi nuovi parametri alla prima occasione , meglio se sarà per la nomina di un “uomo solo al comando” del servizio pubblico , potrebbe dare il segno della comprensione di una svolta necessaria.