Al momento la riforma della Rai assomiglia al coro dell’Aida. Che, come si sa, tra il primo “partiam partiam” e quando esce davvero di scena fa passare parecchio tempo. Ecco, dopo l’annuncio e l’annuncio dell’annuncio (tecnica mediatica oggi assai diffusa), finora conosciamo solo qualche anticipazione di un testo per l’intanto nel cassetto delle idee. Vedremo cosa succederà al prossimo Consiglio dei ministri. Comunque, quello che si sa non va male. Di più. È pessimo. Le lancette del cambiamento non si spostano avanti, bensì indietro di quarant’anni. Prima della riforma del 1975. Il Governo indica l’amministratore delegato-capo azienda. Il resto sembra un contorno.
Tra l’altro, le anticipazioni contengono un curioso strafalcione. Quattro dei sette membri del consiglio di amministrazione vengono scelti dal Parlamento in seduta comune(?). Si tratta di una circostanza – la seduta comune- eccezionale, con una casistica prevista espressamente dalla Costituzione. Del resto, ci sono motivi generali per ritenere l’articolato previsto oltre i confini della consolidata giurisprudenza della Corte. Neppure è un gran correttivo l’inserimento di un dipendente dell’azienda nel consiglio. Così rischia di essere un belletto. Una rete senza pubblicità si propone. Evviva. Fu la proposta di vent’anni fa, che si collegava -però- alla normativa antitrust. Che oggi (insieme al conflitto di interessi) è il Grande Rimosso.
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