Il destino. Il fato. Quando accadono disgrazie come quelle dell’incidente in argentina, salgono alle labbra espressioni che richiamano antichi atteggiamenti fatalisti che vogliono imporre alla tragedia una leggerezza artificiosa, quella che dovrebbe servire ad accogliere ed accettare le vicende imprevedibili della vita. Una leggerezza che, almeno in questi frangenti, in realtà non può esistere. Non può perché, obiettivamente, l’assurdità della morte di persone giovani, sane, delle quali alcune anche famose (e per di più anche molto belle) non è digeribile, neppure se ci si aiuta con un finto fatalismo.
Insomma, perdite assurde, tanto più perché avvenute in una situazione ludica. Un po’ come quando qualcuno muore per disgrazia durante una vacanza. Anzi, di più. Di più, perché sono morti partecipando ad un reality. Morti i per il divertimento altrui, quasi moderni gladiatori.
Ma perché hanno tanto successo reality come quello francese durante il quale sono morte ben 10 persone?
Starsene seduti in poltrona ad osservare persone che combattono per la sopravvivenza (in modo reale o costruito seguendo un copione, non sappiamo), stimola sicuramente la nostra vena un po’ sadica.. (non è sadico sbocconcellare salatini o dolcetti gustandosi il personaggio di turno che, affamato e disorientato, tenta di spaccare noci di cocco a mani nude o si accanisce a pescare armato solo di un bastoncino acuminato?). Osservare poi (sempre adagiati sul divano) quanto si può diventare coraggiosi o piagnucolosi se temprati o piegati dalle privazioni, può farci parteggiare per uno o per l’altro personaggio a seconda dei nostri bisogni più profondi: possono vincere lo sdegno o la tenerezza, l’ammirazione o il disprezzo che ci spingerà a votare o meno per la sua permanenza nel gioco.
Il fatto è che non c’è proprio niente di nuovo in tutto questo. I reality non hanno inventato niente. Divertirsi a vedere gente che lotta per la sopravvivenza è roba che risale agli antichi romani. Solo che adesso sono cambiati i contorni sociali, è cambiato il numero delle persone che partecipano alla visione dell’evento.
Ricordate la teoria del sociologo canadese Marshall McLuhan? Quella del “villaggio globale”, quella metafora che indica come, con l’evoluzione dei mezzi di comunicazione che ha permesso trasmissioni in tempo reale a grande distanza, il mondo si sia di colpo rimpicciolito e abbia assunto così i comportamenti tipici di un villaggio…
Nel caso di questo tipo di format televisivo andrei oltre. Non un villaggio ma un circo. E non quello con gli equilibristi e i giocolieri ma quello con belve e gladiatori.
Nella Roma imperiale, gli spettacoli teatrali, i combattimenti e le corse nel circo riscuotevano un gradimento sempre maggiore tra la popolazione, che se ne stava seduta a gustarsi le manifestazioni non in poltrona come noi, ma sugli spalti. Arrivavano ad essere decine di migliaia ad ammassarsi per l’emozione di assistere ad un combattimento. Oggi in milioni davanti alle tv si impugna il telecomando e si assiste ai reality …è il villaggio globale…
Ma tornando alla Roma imperiale, Il successo dei giochi era così enorme che si ricercava sempre più la spettacolarità… ma con questa aumentavano anche le spese necessarie per organizzare i giochi…tanto che, ci raccontano gli storici, il Senato si trovò costretto a regolamentarne lo svolgimento con rigide leggi sia sulla loro organizzazione, sia sul tetto della spesa da destinarvi…anche questo ci ricorda qualcosa? .
Divertirsi nel vedere qualcuno lottare per la vita sembra un istinto naturale dell’essere umano, dunque. E puntare a una sempre maggiore spettacolarizzazione di queste lotte è stata da sempre una grande tentazione.
Pensare a popolazioni del secondo secolo dopo Cristo, per esempio, che addentano frutti o pesce essiccato guardando scorrere il sangue dei gladiatori, non fa un bell’effetto. Ma pensare che ai giorni nostri ci trastulliamo davanti alla tv, con personaggi più o meno famosi che si accapigliano per un pugno di riso o rischiano la vita (almeno così sembrerebbe) per procacciarsi cibo o superare prove micidiali, francamente fa un po’ più impressione…
Se di questa partecipazione in massa ai giochi dei romani antichi oggi ci resta il Colosseo, cosa resterà di questa passione per l’avventura e le vicissitudini di altri viste in tv? Vicende e peripezie che, attenzione, pretendiamo siano vere, perché le fiction, i film, danno meno gusto.
Ancora un parallelismo con i romani antichi: la morte del gladiatore avveniva raramente se non nei combattimenti all’ultimo sangue. In alcuni casi era il pubblico a decidere vita o morte del perdente col pollice in alto o pollice verso. Così come oggi si vota con un sms per eliminare o meno dalla gare chi non ha superato alcune prove… fatto sta che gli antichi gladiatori costavano parecchio al loro impresario per la preparazione atletica richiesta per combattere e, dal momento che con loro guadagnavano moltissimo, non era loro interesse farli morire. Lo stesso accade oggi, con in più, alla base, ovviamente, un rispetto etico ed umano della vita dei partecipanti ai giochi…
Qualche volta qualche cosa però andava storto. E il gladiatore nonostante tutto moriva. Perché il gioco era in ogni caso pericoloso.
Anche oggi ci sono pericoli. E i rischi che si corrono in questi casi sono inutili.
Anche oggi qualcosa è andato storto, in Argentina.
Una tragica fatalità, è stato detto. Fa però impressione che sia accaduto per far divertire il pubblico.
E se pensando ai divertimenti rozzi e spietati degli antichi romani inorridiamo, la domanda è: è ragionevole oggi, 2015 dopo Cristo, rischiare la vita per un reality? E’ razionale, anche se non si rischia veramente la vita, sottoporsi a sofferenze e privazioni? E’ etico, anche se questi rischi o patimenti fossero solo fiction, far credere al pubblico che siano veri e fargli pensare che è normale divertirsi con le afflizioni altrui?
Gli antichi romani lo facevano, per carità, ma sono passati parecchi secoli dall’età imperiale. In linea teorica, oggi, dovremmo essere evoluti e più sensibili. In linea teorica.