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Se l’azione di responsabilità condiziona il magistrato

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In questi giorni il Presidente Mattarella, parlando a 350 nuovi magistrati, li ha invitati a non farsi condizionare dal timore di subire le eventuali azioni di responsabilità ed in tal modo ha risposto indirettamente al Procuratore di Palermo Leonardo Agueci che, all’indomani dell’approvazione della legge, aveva paventato proprio questo pericolo psicologico.

Sennonché quello che si teme non è affatto un pericolo ma è esattamente la volontà della legge: quella di condizionare i giudici a decidere in scienza e coscienza, sapendo che non esiste più la facoltà di sbagliare in totale assenza di conseguenze e che il precedente regime di sostanziale impunità non tornerà mai più perché è l’Europa che l’ha bocciato già nel 2011 costringendo l’Italia ad adeguarsi a ben altre regole che non quelle della casta; anzi, della Supercasta, secondo il libro di Stefano Livadiotti che solo con indomito coraggio si riesce a leggere fino alla fine senza sbottare.

Eppure la nuova legge, nonostante mantenga “indiretta” la responsabilità civile dei magistrati e veda soprattutto modificata la precedente Legge 117/1988 con l’abolizione del filtro di ammissibilità, continua ad essere vissuta dalla magistratura come un’intimidazione, un affronto alla sua indipendenza, un insulto alla sua autonomia.

Nei ventisette anni di vigore della Legge Vassalli, che vanificò di fatto il referendum dei Radicali del 1987 approvato sull’onda del caso Tortora da più dell’80% dei votanti, il filtro di ammissibilità ha portato a far progredire solo sette ricorsi sui quattrocento presentati e coloro che, adesso, dovranno decidere il merito della causa non saranno diversi da quelli che, prima, decidevano dell’ammissibilità dei ricorsi con i limiti numerici che si sono appena segnalati.

Dunque cosa hanno da temere i magistrati? Non si fidano più dei loro colleghi solo perché è venuto meno il filtro dell’ammissibilità dei ricorsi per invocare la loro responsabilità?

Invero sono le parti litiganti che non si sentono abbastanza garantite dalla nuova legge proprio perché, se i magistrati continuano a decidere della responsabilità di altri magistrati – che, a loro volta, potrebbero un domani decidere della responsabilità dei loro precedenti giudici – non c’è alcuna garanzia che i risultati modestissimi della legge Vassalli verranno superati.
C’è quindi un forte odore di chiagni e fotti nell’attuale alzata di scudi della magistratura contro la nuova legge che, invece, modifica assai poco rispetto ai presupposti che non hanno fatto funzionare la Legge Vassalli.

Ciò che andava cambiato non era tanto la presenza o l’abolizione del filtro di ammissibilità dei ricorsi, quanto l’organo chiamato a decidere della responsabilità dei giudici.

I magistrati giudicano il popolo?
E allora è il popolo che deve giudicare i magistrati e la corte d’assise sarebbe stato il miglior giudice per la responsabilità civile della magistratura.
E invece no. Ancora una volta i magistrati la faranno franca alla grande. Non c’è quindi alcun motivo che i magistrati si facciano condizionare da una legge che, come è prevedibile, non avrà alcun successo maggiore della Legge Vassalli.


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